Quest’anno si commemora il centenario della nascita di uno fra i più significativi personaggi italiani del 900, nato a Bologna il 5.3.22 e deceduto al Lido di Ostia all’età di 53 anni di morte violenta. Pier Paolo Pasolini è un prodotto dell’incrocio dell’unità d’Italia, figlio di padre borghese romagnolo, associato al corpo di fanteria, madre friulana trasferita a Bologna in qualità di insegnante. Da sempre ebbe un rapporto conflittuale con il padre, ma assai simbiotico con la madre Susanna Colussi, deceduta novantenne il 10.3.21. Tanto da dedicarle la poesia “Storia di un amore autentico” e a sceglierla come personaggio Maria madre di Gesù nel film” Vangelo secondo Matteo”. Di grande statura culturale, uno dei più famosi scrittori del secolo scorso: regista, giornalista, sceneggiatore, poeta, drammaturgo. Versatile anche come pittore, linguista, romanziere. Sommo genio e sregolatezza. Stile critico e provocatorio, fu critico anche nei confronti delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi. Sua peculiarità non essere prendibile e funzionale a nessun sistema, fosse il PCI, la chiesa, il capitalismo, lui sempre più in là, sempre oltre. Non adeguarsi a nessun sistema sacro, economico, culturale. Il sistema era per lui volontà di menzogna. Quanto tradotto in sistema, la stessa idea di Dio, poteva diventare strumento nelle mani del potere. Ovvio che così conducesse anche una vita difficile e violenta. Fu espulso da diverse organizzazioni e anche dal PCI, che poteva essere la sua matrice vitale. Ci fu un periodo che per campare dovette vendere libri nelle bancherelle di un quartiere periferico romano. Il sottoscritto ebbe l’occasione di incontrarlo due volte. La prima nel giugno 1962, allorché iscritto all’università Laterano di Roma completava un’inchiesta sull’argomento:” Simbologia religiosa del film italiano”, attraverso interviste agli attori del cinema, ebbi così l’occasione di conversare con Fellini, G. Masina, De Sica, Sordi, Mastroianni, Schiaffino, Koscina, Olmi e diversi altri, Pasolini ovviamente incluso. La seconda volta quando venne in Svizzera a Basilea nel 1965 a presentare in un cineforum il suo film Vangelo secondo Matteo (durata 2 ore 17 min.), organizzato dal club culturale giovanile italo svizzero, il cui fondatore era il sottoscritto. Il nostro colloquio giugno 1962 in un bunker di Cinecittà ebbe ovviamente come oggetto quest’ultimo suo capolavoro, storico-drammatico. Non ricordo di averlo visto sorridere attraverso la piega delle labbra, costantemente serio, quasi severo: il suo carattere. Mi limito a questo film, ambientandolo fra i sassi di Matera ed altri piccoli paesi contadini del sud, trasferì la vita difficile di quella gente popolana, uomini e donne dalla fronte rugosa per il solleone, dal volto trascurato, emaciati e senza denti, personaggi della Palestina ai tempi di Gesù. Già allora sentiva che le persone semplici del proletariato a cui aveva sempre pensato erano le stesse a cui Gesù aveva rivolto la buona novella e che quindi erano anche gli interpreti migliori, oltre i destinatari della sua opera di poeta e di regista. Il contenuto ideale e religioso però è molto dirompente, anche se si respirava nell’aria lo spirito del concilio ecumenico che si sarebbe aperto l’11 ottobre dello stesso anno. Egli si prefiggeva che il suo film potesse venire proiettato nel giorno di pasqua in tutti i cinema parrocchiali d’Italia e del mondo. E qui apre il suo discorso sulla chiesa che è anche una filosofia su di essa. Per Pasolini la chiesa era la prima e più appuntita pietra d’inciampo del vangelo. Lo evidenzierà anche negli “Scritti Corsari” 1974: la chiesa non può che essere reazionaria, dalla parte del potere, non può che accettare le regole autoritarie, non può che sostenere le società gerarchiche in cui la classe dominante garantisce l’ordinamento, non può che detestare ogni forma di pensiero anche timidamente libero. Ecco la denuncia anche un po’ troppo reazionaria di Pasolini alla chiesa:” la chiesa non può che agire completamente al di fuori dell’insegnamento del vangelo.” Egli trova in questo una umanità autentica, completa, divina. Lui che si definisce non credente sente che questa qualità divina della persona umana gli appartiene, appartiene a tutti.” Non credo che Cristo sia figlio di Dio, ma credo che Cristo sia divino, credo che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale che va al di là dei comuni termini di umanità. Concetti che suonano come una liberazione del vangelo dalla religione. Basta essere umani per essere divini. Trova nel vangelo la bellezza morale che riconosce unica e incontaminata. La bellezza giunge a noi mediata attraverso la poesia, la filosofia, l’arte. Il solo caso di bellezza morale non mediata ma immediata allo stato puro io l’ho esperimentata nel vangelo. Ed è questa bellezza morale, personale, sintesi di estetica e di etica che oggi il regista vede indispensabile. Con l’invito a rispondere sempre più ad un clericalismo diffuso, impermeabile che si è infiltrato in molti siti, scuole, sindacati, stampa, banche, amministrazioni pubbliche, parlamenti. Ci vorrebbe anche oggi un Gesù del vangelo che sapesse tuonare contro scribi e farisei ipocriti. Forse un po’ troppo totalitario il nostro, ma era nel suo DNA tormentato, tant’è che da quella lontana intervista annotai una conclusione: probabile reazione e tristezza di un uomo moderno che si affanna alla ricerca della verità.
Autore: Albino Michelin
Adattamento: ColosseoNews
12.06.2023