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Wednesday, June 23, 2021

TU CI SEI

Epitaffio in memoria delle vittime dell’epidemia da coronavirus nel cimitero di Bergamo

di Ernesto Olivero

  Tu ci sei.

Sono convinto che Tu ci sei
accanto alle persone che muoiono sole,
sole, con a volte incollato
sul vetro della rianimazione
il disegno di un nipote,
un cuore, un bacetto, un saluto.

Tu ci sei, vicino a ognuno di loro,
Tu ci sei, dalla loro parte mentre lottano,
Tu ci sei e raccogli l’ultimo respiro,
la resa d’amore a te.

 Tu ci sei, muori con loro per portarli lassù
dove con loro sarai
in eterno, per sempre.

Tu ci sei,
amico di ogni amico che muore
a Bergamo, in Lombardia, in ogni parte
del nostro tormentato paese.

Tu ci sei e sei Tu che li consoli,
che li abbracci, che tieni loro la mano,
che trasformi in fiducia serena la loro paura.

Tu ci sei, perché non abbandoni nessuno,
Tu che sei stato abbandonato da tutti.

 Tu ci sei, perché la tua paura,
la tua sofferenza, l’ingiustizia della tua morte,
le hai offerte per ciascuno di noi.

Tu ci sei e sei il respiro
di quanti in questi giorni
non hanno più respiro.

Tu ci sei, sei lì, per farli respirare
per sempre.
Sembra una speranza,
ma è di più di una speranza:
è la certezza del tuo amore
senza limiti.

 Questo epitaffio di Ernesto Olivero esprime in maniera emblematica
„La Cristologia della sofferenza“ propria della fede Cristiana.

 Sandro B.
27.06.2021

 

Wednesday, April 8, 2020

IL CORONAVIRUS SALVA LA NOSTRA VERA UMANITÀ

La pandemia di coronavirus ci costringe tutti a pensare: cosa conta davvero la vita o i beni materiali? L'individualismo di ciascuno per se o la solidarietà dell'uno con l'altro?
Possiamo continuare ad appropriarci, senza limiti, dei beni e dei servizi della natura per vivere sempre più sconsideratamente o dobbiamo invece prenderci cura della natura, della nostra Madre Terra e vivere cercando l'armonia del tutto?
Cosa hanno raggiunto quei paesi guerrafondai accumulando sempre più armi di distruzione di massa, al punto da poter distruggere l'intera biosfera e distruggere la Terra, se ora devono cedere a un virus invisibile che può rendere ridicolo tutto questo apparato di morte?
Possiamo continuare con il nostro stile di vita consumistico, distruttivo della natura, che minaccia l'equilibrio della Terra, che produce ricchezza illimitata per pochi privilegiati in un oceano di poveri e miserabili? Ha ancora senso che ogni paese affermi la propria sovranità, non rispettando quella degli altri, quando siamo tutti all'interno dello stesso Titanic che può affondare? Perché non abbiamo scoperto e valorizzato l'unica Casa comune, la Madre Terra e il nostro dovere di prenderci cura di lei in modo che tutti possano coesistere, natura compresa?
Sono domande che non possono essere evitate. Nessuno ha la risposta. Una cosa però è certa: "la visione del mondo che ha creato la crisi non può essere la stessa che ci porterà fuori dalla crisi". Dobbiamo necessariamente cambiare. La cosa peggiore sarebbe se tutto tornasse come prima, con la stessa logica consumistica e speculativa, e forse con ancora più vemenza. Poi, non avendo imparato nulla, arriverebbe un altro virus, forse quello che potrebbe porre fine al progetto umano, fallito.
Ma possiamo guardare alla pandemia del coronavirus che si sta propagando in tutto il pianeta, da un'altra angolazione, quella positiva. Il virus ci fa scoprire la nostra più profonda e autentica natura umana.
Prima di tutto, siamo esseri relazionali. Siamo, come ho ripetuto innumerevoli volte, un nodo di rapporti totali, rivolti in tutte le direzioni. Quindi nessuno è un'isola. Ovunque gettiamo ponti.
In secondo luogo, di conseguenza, dipendiamo tutti l'uno dall'altro. L'etica africana "Ubuntu" esprime bene questo concetto: "Io sono solo io attraverso te". Pertanto, ogni individualismo, l'anima della cultura capitalista, è falso e antiumano. Il coronavirus lo dimostra. La salute di uno dipende dalla salute dell'altro. Questa dipendenza reciproca, consapevolmente assunta, si chiama solidarietà. È stata la solidarietà che ci ha fatto uscire dal mondo degli antropoidi e ci ha permesso di essere umani, di vivere insieme e di aiutarci. In queste settimane abbiamo visto commoventi gesti i di vera solidarietà, molti che aiutano gli altri, da deboli a deboli.
In terzo luogo, abbiamo bisogno di “aver cura”. Senza cura, dalla nascita e per tutta la vita, nessuno sopravvivrebbe. Dobbiamo prenderci cura di tutto: di noi stessi, altrimenti potremmo ammalarci e morire, degli altri che possono salvare me o io posso salvare loro, dalla natura che può rivoltarsi contro di noi con virus deleteri, siccità disastrose, inondazioni devastanti, eventi climatici estremi. Prendersi cura di Madre Terra perché continui a darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere e che ancora ci ospita, malgrado che per secoli l'abbiamo aggredita spietatamente. Soprattutto ora, sotto l'attacco del coronavirus, dobbiamo tutti prenderci cura di noi stessi, prenderci cura degli altri più vulnerabili, raccoglierci a casa, mantenere la nostra distanza sociale e occuparci delle infrastrutture sanitarie senza le quali assisteremo a una catastrofe umanitaria di proporzioni bibliche.
In quarto luogo, abbiamo scoperto che dobbiamo essere tutti corresponsabili, cioè essere consapevoli delle conseguenze benefiche o dannose delle nostre azioni. La vita e la morte sono nelle nostre mani, la vita umana, la vita sociale, economica e culturale. La responsabilità non può essere solo dello Stato o di pochi soggetti, ma deve essere di tutti, perché tutti ne sono coinvolti e tutti possono influire. Tutti devono accettare l’isolamento imposto per contrastare la pandemia.
Infine, scopriamo la forza del mondo spirituale che costituisce la nostra anima profonda, là dove si elaborano i grandi sogni, dove vengono poste le domande ultime sul senso della nostra vita e dove sentiamo che deve esserci un'Energia amorevole e potente che pervade tutto, che sostiene il cielo stellato e la nostra stessa vita sulla quale non abbiamo tutto il controllo. Possiamo aprirci ad essa, questa Energia, accoglierla e, come in una scommessa, confidare che sia essa a sostenerci e che, nonostante tutte le contraddizioni, garantisca una buona fine per l'intero universo, per la nostra storia saggia e stolta e per ognuno di noi. Se coltiviamo questo mondo spirituale ci sentiamo più forti, più premurosi, più amorevoli, alla fine, più umani.
Su questi valori ci è concesso di sognare e di costruire un altro tipo di mondo, biocentrico, in cui l'economia, con altre razionalità, sostiene una società globalmente integrata, rafforzata più da alleanze affettive che da patti legali. Sarà la società della cura, della gentilezza e della gioia di vivere.

Autore: Leonardo Boff
Traduzione dal Portoghese in Italiano a cura di ColosseoNews del Post
“O coronavírus resgata a nossa verdadeira humanidade”
31/03/2020

Monday, April 6, 2020

PICCOLO MANIFESTO IN TEMPI DI PANDEMIA (SINTESI)

Il Collettivo Malgré Tout (“Malgrado tutto”), ha proposto un breve Manifesto composto da quattro punti, quattro spunti di riflessione e ipotesi pratiche da condividere con chi fosse interessata/o.
Il testo che segue è una sintesi elaborata da ColosseoNews.

 
1. Negli ultimi quarant'anni almeno, abbiamo assistito al trionfo e al dominio incontrastato del sistema neo-liberista in ogni angolo del pianeta, salvo rarissime eccezioni che sono state però spesso inglobate all’interno del sistema dominante. Tra le diverse tendenze che attraversano questo tipo di sistema, una in particolare sembra costituire la forma mentis dell’epoca. Si tratta, senza dubbio, della tendenza a considerare gli individui come il rumore di fondo del sistema, come ciò che disturba in quanto troppo pensante, desiderante, vivente e quindi sfuggente alle logiche lineari di previsione. L’obiettivo perseguito dalle pratiche e dalle politiche proprie al neo-liberismo consiste nel rendere gli individui indeterminati, manipolabili, materia prima o “capitale umano” utilizzabile a proprio piacimento. Gli individui possono essere spostati senza criterio, devono essere pronti e educati alla flessibilità per potersi adattare alle necessità determinate dalla struttura macro-economica. Nella loro astrazione estrema gli individui diventano, nel caso delle tragedie come quelle che avvengono quotidianamente nel Mediterraneo o nei centri di detenzione libici ed europei, semplici numeri, dal valore indifferente, senza nessuna corporeità e quindi, in fondo, umanità.
Gli effetti catastrofici delle politiche a cui abbiamo assistito è resa manifesta dall’accelerazione estrema, negli ultimi decenni, dell’impatto dell’Antropocene. Abbiamo assistito a una de-regolazione senza precedenti dell’ecosistema, alla manipolazione artificiale di piante, animali e della natura (di cui siamo parte) nel suo insieme. Anche in questo caso, l’idea che ha guidato le pratiche neo-liberali consiste nel pensare che tutto sia possibile, in nome di un maggior profitto o di un più grande benessere per una piccola parte della popolazione. Ecco allora che la pandemia che stiamo vivendo sembra scombussolare lo scenario che si era delineato fin qui. D’un tratto il baricentro si è spostato, ci rendiamo conto che gli individui, finora ridotti a massa manipolabile, sono di ritorno anche se in maniera catastrofica e sotto minaccia. Gli individui fanno parte della realtà e sono diventati addirittura i soggetti principali della situazione e delle politiche attuate: sono essi a essere controllati, regolati ma anche protetti.

2. Dalla gestione della pandemia attuale e dalle reazioni che ha scatenato traiamo una lezione fondamentale. Se, ben prima di questa crisi sanitaria, la percezione di un futuro minaccioso era comune alla maggior parte delle persone, non si trattava mai di una minaccia identificata, quindi reale e immediata. Si trattava di una percezione diffusa e precosciente di una “minaccia” generale, che avrebbe potuto declinarsi in diverse maniere, minaccia nella quale eravamo immersi senza però che tutti riuscissero ad agire collettivamente. L’angoscia che questa percezione diffusa scatenava non esisteva in rapporto a un elemento chiaro e identificato. Se una minaccia risultava invece chiara, cristallizzata e sentita come immediata, lo era soltanto per le persone toccate in prima persona. Si pensi ad esempio alla minaccia per chi vive nei siti contaminati dall’amianto. Si tratta di una minaccia ben reale: a Taranto, in Italia, tra i lavoratori dell’ex Ilva si sono registrati un +500% di tumori rispetto al resto di cittadini della città e almeno 5000 morti causati dall’esposizione all’amianto nel periodo che va dal 1993 al 2015. In casi come questo, è sempre esistita una certa impossibilità, per le persone che vivevano la minaccia immediata e la appercepivano (vedi glossario), di trasmettere quest’esperienza agli altri. Se, infatti, anche chi non vive nelle zone colpite può interessarsi, informarsi ed essere solidale con le persone toccate dalla situazione, è difficile che ci si possa sentire realmente coinvolti, appercepire e vivere la minaccia come immediata. Vi è una grande differenza, infatti, tra essere informati di una situazione e appercepirla realmente. Altri ancora, invece, a queste minacce rispondevano con un menefreghismo celato dietro alla convinzione del “tanto succede solo agli altri”. Non è mai esistita quindi un’appercezione comune della minaccia come invece sembra esistere attualmente.
Oggi stiamo assistendo a un evento epocale e inedito. Per la prima volta, infatti, l’umanità intera produce un’immagine della minaccia (la appercepisce). L’emergenza di questa dimensione di appercezione comune non è dovuta solamente a un carattere intrinseco alla minaccia che stiamo vivendo (ad esempio alla mortalità del virus) ma anche al dispositivo disciplinare messo in atto dai governi di quasi tutto il mondo. Non è quindi la minaccia in sé che produce una dimensione di appercezione comune: tante altre minacce o disastri, come abbiamo spiegato parlando di Taranto, non sono state oggetto di questa dimensione comune. Ciò non significa che quelle altre minacce fossero meno immediate o pericolose, né che non tangessero gran parte del pianeta. Il massacro dell’ecosistema, infatti, nelle sue varie forme, sta distruggendo il vivente (tutto) qui e ora, non domani o dopodomani. La minaccia ecologica, corrispondeva però fino ad oggi a un pericolo non immediatamente appercettibile per la maggior parte delle persone, a qualcosa di cui la nostra coscienza poteva per lo più informarci. È esistita, ovviamente, una minoranza di persone che già appercepivano la minaccia (le vittime di questi disastri, parte della comunità scientifica, una parte importante delle giovani generazioni, figure-simbolo come Greta Thunberg e movimenti della società civile etc.) ma non erano presenti gli altri elementi necessari per far si che la percezione diffusa diventasse appercezione di massa. Come abbiamo anticipato, tra i vari elementi che hanno permesso l’emergenza della dimensione di appercezione comune di una minaccia immediata vi è il dispositivo disciplinare messo in atto dai governi. Se prima la minaccia veniva appercepita soltanto nel momento in cui il proprio corpo ne era affetto (nel caso dell’amianto, dell’inquinamento in alcune zone, delle diossine ecc.) e non esisteva alcuna dimensione appercettiva comune, ora la situazione è completamente diversa: anche se il mio organismo singolo non ne è direttamente affetto, l’esistenza di quella dimensione comune fa sì che ognuno appercepisca la minaccia. E’ quindi la prima volta che tutti quanti, in ogni parte del mondo, sperimentano corporalmente (e non solo coscientemente, basandosi su informazioni) la presenza di una minaccia immediata. La differenza, come abbiamo spiegato, risiede nel fatto che abbiamo a che fare con un disastro visibile per tutti quanti e appercepito da tutti quanti. Si tratta di un evento storico irreversibile che consiste nell’acquisizione per il senso comune della dimensione visibile della minaccia ecologica.

3. Nell’orrore che stiamo vivendo e nella situazione complicata in cui siamo immersi, se facciamo lo sforzo di non rinunciare al pensiero, ci accorgeremo di come esista una sola cosa che possiamo sperimentare positivamente all’interno di questa crisi: la realtà dei legami che ci costituiscono. In maniera paradossale e quasi tragicomica, l’isolamento è stato necessario per spingere le persone a cercare e creare legami.
La nostra vita individuale e singolare è solo un lato della medaglia; l’altro lato è il nostro essere tessuti nella e dalla fragilità dei legami e del comune di cui facciamo parte. Obbligati all’isolamento, ci accorgiamo quindi di appartenere al comune, di essere attraversati da molteplici legami e di non corrispondere in alcun modo al disegno thatcheriano secondo cui “La società non esiste. Tutto ciò che esiste sono degli individui uomini e donne e le loro famiglie”.

4. La finestra che si è aperta, però, non s’affaccia solo su nuove possibilità di agire in maniera positiva. L’esperienza che stiamo vivendo offre al biopotere (vedi glossario) in atto un esempio senza precedenti: assistiamo alla possibilità di disciplinare interi paesi, interi continenti, testimoniando tra l’altro, molto spesso, del desiderio stesso delle persone di farsi disciplinare per sopravvivere alla minaccia immediata. L’esperimento di nuove forme di controllo darà margine al biopotere per ampliare e rafforzare il suo raggio d’azione, anche perché non sarà difficile trovare nuove minacce o nuove emergenze per giustificare le pratiche di controllo sperimentate attualmente. Per la prima volta dopo tantissimo tempo, ci siamo trovati ad affrontare una minaccia chiara, cristallizzata, immediata. Così immediata da permettere al potere di parlare, in maniera furba e villana, di guerra. A ciò vogliamo rispondere che non abbiamo nessun bisogno di guerra, né della mentalità virile e conquistatrice che la dichiara con convinzione, ben espressa dal discorso del Presidente Macron alla nazione (e quel “nous sommes en guerre” ripetuto allo sfinimento). Questa mentalità è parte del problema: il nostro obiettivo non è vincere una guerra ma dirigerci verso un’armonia che comporti un cambiamento nella maniera di abitare il nostro mondo e relazionarsi con le altre specie. Terminata la pandemia, il potere potrà dichiarare di aver vinto la guerra che aveva iniziato. Come dopo ogni guerra, facendo appello alla situazione di emergenza e di crisi che vivremo, esso potrà chiedere un sacrificio in più alle popolazioni. Non è il tempo di pensare, né di protestare e chiedere dei cambiamenti della struttura sociale (dei miglioramenti, ad esempio, dei sistemi di sanità): è il tempo di mettersi al lavoro per rimediare ai danni della crisi e farlo senza aprire bocca. La narrativa che sarà proposta è quella di un semplice intoppo a cui bisognerà rispondere con ancora più veemenza implementando le pratiche neo-liberiste che hanno contribuito, in realtà, a creare la pandemia (e a indebolire le strutture sociali, di cui i sistemi sanitari fanno parte, che in primis devono combatterla). Bisogna infatti ricordarlo: non si tratta di un incidente. La distruzione dei nostri ecosistemi, la promiscuità inedita tra specie animali sia nelle città che negli ambienti naturali (nessuno dubita del fatto che il virus sia stato trasmesso, in ambiente urbano, dagli animali agli umani), la deforestazione, ossia la distruzione di una barriera possibile di contenimento del virus, sono tutti elementi che hanno contribuito in maniera drammatica all’origine e alla propagazione di questa pandemia, e continueranno a farlo in futuro con altre pandemie. Soprattutto se gli (ir)responsabili al governo del pianeta, per lo meno quelli tra loro che sono adepti del neoliberismo, continueranno a pensare in termini di guerra da vincere implementando le pratiche assassine che hanno portato avanti negli ultimi decenni, e rinunciando a trovare un’altra armonia possibile.
Qualunque sarà la reazione dei governi, una cosa è certa: una nuova dimensione è emersa e si è aggiunta al senso comune. Le realtà di cui abbiamo parlato (legate alla distruzione dei nostri ecosistemi o in ogni caso all’interferenza dannosa delle attività umane), il fatto di aver considerato per troppo tempo l’essere umano come il solo soggetto della storia e la natura come suo oggetto separato, da dominare e padroneggiare (secondo la formula cartesiana) sono emerse finalmente come appercepite nella loro pericolosità. La nuova situazione cui partecipiamo ci convoca quindi per renderla irreversibile, per far sì che la crisi non si concluda tra gli applausi di sollievo per aver vinto una “guerra”. Quest’evento storico ci apre la porta per produrre immagini appercettive dei diversi disastri ecologici: sta a noi pensare e agire affinché essa venga imboccata in maniera irreversibile.
Non sappiamo cosa ci riservi il domani e non abbiamo alcuna pretesa di prevederlo. Sappiamo però che le forze reazionarie di tutto il mondo saranno pronte ad approfittarne, come abbiamo pocanzi scritto. Da una parte, alimentando i dispositivi di controllo e di esercizio del biopotere e implementando le politiche neoliberiste; dall’altra, spingendo per un ritorno alla normalità, facendo leva sul desiderio di dimenticare più che su quello di cambiamento. Sta a noi quindi, fin da subito, continuare a pensare a nuovi modi di agire e di vivere nel nostro pianeta, ad altre modalità di sviluppo e crescita possibili e ragionevoli. Lo ripetiamo: non si tratta in alcun modo di aspettare la fine della minaccia per iniziare ad agire né pensare adesso a cosa potremmo fare “dopo la crisi”. Pertanto, nel cuore di una situazione oscura e minacciosa, abbiamo il dovere di assumere la realtà che ci si presenta dinanzi, senza aspettare saggiamente che “prima o poi passi” ma preparando già da ora le condizioni e i legami che ci permettano di resistere all’avanzata del biopotere e del controllo. Questa situazione di crisi non deve condurci a un’ancora maggior delega della nostra responsabilità. Avremo infatti visto come i “grandi di questo mondo” (questi nani morali), parlandoci di guerra, vogliono ancora una volta ridurci a soldati carne da macello. Solo una chiara opposizione al mondo neoliberale della finanza e del puro profitto, solo una rivendicazione degli individui non sottomessi al puro virtuale del mondo algoritmico può essere oggi il nostro obiettivo.

Riferimento: Articolo riportato su Micromega online (1 aprile 2020)
Pour le “Collectif Malgré Tout” France: Miguel Benasayag, Bastien Cany, Angélique Del Rey, Teodoro Cohen. Per il “Collettivo Malgrado Tutto” Italia: Roberta Padovano, Mary Nicotra.

Glossario
Percezione
Atto di prendere coscienza di una realtà che si considera esterna anoi. Processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato.

Appercezione
Il termine appercezione sta a indicare una forma particolare di percezione mentale, che si distingue per chiarezza e consapevolezza di sé. Fu introdotto dal filosofo Leibniz per definire la "percezione della percezione", ossia la percezione massima perché situata al più alto livello di autocoscienza. In Kant è nota altrimenti come "Io penso".

Antropocene
L'epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all'aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell'atmosfera.

Biopotere
Il biopotere, potere sulla vita, si è sviluppato nei secoli XVII e XVIII in due direzioni principali e complementari: la gestione del corpo umano nella società dell'economia e finanza capitalista, la sua utilitizzazione e il suo controllo.

Wednesday, March 25, 2020

COVID-19 UNA REAZIONE DELLA NOSTRA MADRE TERRA

Dietro la pandemia Covid-19 il teologo brasiliano Leonardo Boff, punto di riferimento della „teologia della liberazione“, intravede la reazione violenta della nostra Madre Terra. Di fronte al dilagare del micidiale Covid-19 L. Boff sul suo blog sostiene la teoria della rappresaglia di Gaia, la terra intesa come un super organismo vivente autoregolante, già proposta dallo scienziato James Lovelock. L'ipotesi Gaia, nella sua formulazione si basa sull'assunto che gli oceani, i mari, l'atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all'azione degli organismi viventi, vegetali e animali.

Per L.Boff il Corona Virus, come tutti gli altri virus che hanno afflitto l’umanità, è una reazione della Madre Terra alla politica di sfruttamento indiscriminato di tutte le sue risorse ed al conseguente inquinamento. L. Boff mette sullo stesso piano virus, inondazioni, tifoni, siccità; tutti i danni che l’uomo ha provocato con il suo comportamento violento e irresponsabile.

«Stimo che le attuali malattie come la dengue, la chikungunya, il virus della zica, le sars, l'ebola, il morbillo, l'attuale coronavirus e il degrado generalizzato delle relazioni umane, caratterizzato da una profonda disuguaglianza e ingiustizia sociale e la mancanza di minima solidarietà sono una rappresaglia di Gaia per le offese che infliggiamo continuamente» scrive Boff che aggiunge: «Non è senza ragione che il virus è scoppiato dove c'è più inquinamento. Non direi che è "la vendetta di Gaia", in quanto lei, in quanto Grande Madre, non si vendica, ma ci dà gravi segni di essere malata (tifoni, fondere calotte polari, siccità e inondazioni, ecc.) E al limite, a causa del fatto che non impariamo la lezione, ci rende una rappresaglia come le malattie menzionate. È una reazione all'azione umana violenta».

È incontrovertibile che fattore inquinante del nostro pianeta Terra (dell'intera Gaia) sono le attività e l'ambiente costruito dall'uomo, che anche se non fa parte del sistema, interagisce fortemente con esso modificando i fattori limitanti (temperatura, composti chimici ecc.) ed è anche provato che questo processo degenerativo è avvenuto negli ultimi due secoli in seguito all‘industrializzazione.

La domanda è: può l’uomo essere reso responsabile della piaga del virus come è indubbiamente responsabile del cambiamento climatico? Io direi di no! Ma indirettamente la responsabilità di aver messo tutto il mondo in un così grave pericolo c`è.  Alcune considerazioni 1) L’inquinamento atmosferico ha reso gli uomini più soggetti a malattie respiratorie ed allergie 2) La globalizzazione propaga più velocemente le malattie infettive, che viaggiano in aereo 3) Le megalopoli sono un bacino ideale per la diffusione dei virus 4) Si investono capitali enormi per gli armamenti invece d’investire risorse finanziarie per la salute pubblica. 5) L’uomo occidentale si è illuso di essere al riparo delle calamità e di poter gestire ogni evenienza. 6) Il benessere materiale e la ricchezza hanno fatto perdere di vista il bene primario, la salute.

In Genesi (1,28) è riportato: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate …». Ci siamo convinti che il mondo è stato creato a nostro uso e consumo, non è proprio così. Ci sono dei limiti allo sfruttamento di questo nostro mondo. Se non l’abbiamo ancora capito andiamo incontro a quanto riportato in Apocalisse (6,7-8) con l’apparizione del quarto cavaliere dell’Apocalisse portatore di epidemie e altro.

Sandro
25.03.2020

Saturday, March 14, 2020

ASSOLUZIONE PER NORBERT VALLEY

Il 12 marzo 2020 il Tribunale di polizia di La Chaux-de-Fonds (NE) ha assolto il Pastore Norbert Valley della chiesa evangelica Freikirke in Le Locle, Cantone di Neuchâtel dall’accusa di aver facilitato il soggiorno illegale di Josef, un richiedente d’asilo di 34 anni del Togo, a cui l‘asilo era stato negato.

Nel 2018 in prima istanza, la Procura del Cantone di Neuchâtel aveva giudicato il pastore Valley colpevole di aver violato la «Legge per gli stranieri e l’integrazione» vigente in Svizzera e l’aveva condannato ad una pena pecuniaria di 1000 Franchi svizzeri ed all’inscrizione nei registri della polizia.

 Il pastore Valley, noto per il suo impegno sociale nel cantone di Neuchâtel, non ha accettato il verdetto ed ha fatto ricorso, affermando che la condanna era in totale conflitto con la sua coscienza e la sua missione pastorale.

Il ricorso del pastore Walley è andato a buon fine. Il giudice ha constatato che tra il 2016 ed il 2017 il pastore Valley si è limitato a prestato aiuto, offrendo ricovero e dei pasti a Josef solo sporadicamente, facendo ricorso alla sola disponibilità della chiesa.

La sentenza di assoluzione è stata accolta da rappresentanti della chiesa e da attivisti per i diritti civili, presenti nella sala del tribunale, con entusiasmo e gioia. A questi sentimenti si associano tutte le persone che cercano di condurre la loro vita all’insegna dell’umanità e della carità.

Il caso di Norbert Valley ha comunque messo in luce la necessità di rivedere l’ordinamento giuridico svizzero a riguardo della «Legge per gli stranieri e l’integrazione» (articolo 116) ritenuta da molti troppo rigida e in contrasto con i principi umanitari che la Svizzera dichiara di voler rappresentare.

Sandro B.
14.03.2020

Saturday, March 7, 2020

VIETATA LA CARITÀ: IL CASO DEL PASTORE NORBERT VALLEY

Domenica 11 febbraio 2018 poco prima delle 11, quando sta per iniziare il culto domenicale nella chiesa evangelica Freikirke in Le Locle, Cantone di Neuchâtel, arriva la polizia, chiede del pastore e lo porta in caserma.
Nel frattempo il pastore Norbert Valley di 64 anni è stato giudicato dalla Procura del Cantone di Neuchâtel, dichiarato colpevole e condannato. La sua colpa: Valley ha facilitato il soggiorno illegale di Josef un richiedente d’asilo del Togo, a cui l‘asilo era stato negato, e gli ha offerto più volte alloggio e pasti. Il verdetto: una pena pecuniaria di 1000 Franchi svizzeri e l’inscrizione nei registri della polizia.

Valley giudica questo verdetto „scandaloso“. Josef si trovava in una situazione molto critica. Dopo il rifiuto della sua richiesta d‘asilo era disperato e non aveva un luogo dove andare. Per Valley non è possibile rifiutare l’aiuto ad un uomo in questo stato e cita le parole di Gesù.
Matteo 25 (35 – 40) «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? Rispondendo, Gesù dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
Fatto è che davanti a certa giustizia il Vangelo di Matteo non conta nulla. Valley è stato giudicato in base all’articolo 116 della „Legge per gli stranieri e l’integrazione“ (Ausländer- und Integrationsgesetz) vigente in Svizzera. L’articolo si applica anche a chi facilita la permanenza in Svizzera di persone che non ne hanno il diritto (rechtswidrigen Aufenthalt).

Quello di Valley non è l’unico caso. La statistica per il 2018 riporta ca. 600 casi in cui sono coinvolti stranieri residenti in Svizzera che hanno aiutato i loro compatriotti, 300 casi di cittadini svizzeri che hanno agito per motivi puramente umanitari. Solamente in 32 casi si può parlare di trafficanti di esseri umani (Schlepper).
Manon Schick amministratore delegato della sezione svizzera di Amnesty International ha criticato aspramente il verdetto a carico di padre Valley «Persone che danno ascolto al loro cuore ed alla loro umanità vengono trattate alla stregua di trafficanti di esseri umani». Secondo di Amnesty è incomprensibile che un paese umanitario come la Svizzera applichi delle leggi così severe contro persone che agiscono secondo coscienza ed aiutano dei rifugiati.

Il pastore Valley è determinato a difendersi e non accetta il verdetto e la pena a lui imposta, ha scritto al Pubblico Ministero «Ciò che è legale, non è necessariamente giusto moralmente. Io ho fatto solo il mio dovere, aiutare un uomo in pericolo».
Il 12 marzo il Pastore Norbert Valley si presenterà davanti al Tribunale di polizia di La Chaux-de-Fonds (NE). In quella sede si opporrà all'ordine penale che lo condanna "per aver facilitato il soggiorno illegale" di un richiedente d‘asilo togolese la cui domanda è stata respinta. Nel caso in cui il Tribunale dovesse confermare la sua condanna, Valley è determinato a portare avanti il suo caso fino a Strasburgo, al Tribunale europeo per il diritto degli uomini.

Sandro B.
07.03.2020

Friday, November 1, 2019

CITTADINO DEL MONDO

Qualche anno fa circolava questa interessante poesia semplice senza rime ma densa di significato:
” Cittadino del mondo, il tuo Cristo è ebreo, la tua democrazia è greca, la tua scrittura è latina, i tuoi numeri sono arabi, la tua auto è giapponese, il tuo caffè è brasiliano, il tuo orologio è svizzero, il tuo walkman è coreano, la tua pizza è italiana, la tua camicia è hawaiana, le tue vacanze sono turche, tunisine, marocchine. Cittadino del mondo non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.”
Vent’anni fa un testo del genere suonava bene, nulla di più, oggi invece è diventato una provocazione. In effetti in Italia basta ti scappi fuori l’espressione straniero e ti senti male, perché crei una reazione carica di insulti. Eppure a pensarci bene, dentro a ciascuno di noi esiste tutta l’umanità del passato, dalle origini del mondo in poi. Si chiami Adamo, l’africana Lucy o Pitecantropo. Nessuno dovrebbe offendersi quando si sente dire “prima gli italiani, prima i cattolici”, slogan di tante campagne elettorali che negli ultimi tempi hanno alimentato incontri e scontri pubblici.
Ora si pone una domanda sono io, un vero italiano, un vero cattolico? Fa riflettere quanto si legge il libro di Ettore Masina:” Naufraghi di terra” nella citazione di Elvio Beraldin. Ciascuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisnonni. Se ci si appassiona al calcolo degli anni si arriva a numeri impressionanti, lontanissimi da quelli il cui concetto moderno di famiglia ci ha abituati. Retrocedendo alla decima generazione pressappoco fine 1600 gli avi di ciascuno di noi equivalgono numericamente alla popolazione di un villaggio, 512 padri e altrettante madri. Spingendoci agli inizi del 1500 riempirebbero una città, circa 65 mila, ma penetrando oltre il tempo diventerebbero un popolo. In teoria portiamo ciascuno di noi nel nostro sangue particelle genetiche di più di 8 milioni di persone che vissero nel 1300, immenso popolo che alla lunga ci rende un po’ tutti parenti.
Il sangue non è acqua e hanno ragione gli antropologi quando dicono che il DNA di noi italiani oggi porta l‘impronta degli etruschi, dei greci, delle genti che passarono nella nostra penisola in tempi remoti. E siccome l’Italia è stata arata dagli eserciti conquistatori di vari continenti importando pure schiavi, trafficanti, ladroni, il nostro suolo è stato sconvolto, assetto demografico e sociale compreso. Tutti siamo meticci. Fra gli antenati di ciascuno di noi vi è certamente un fenicio, un greco, un gallo francone, un negro della Nubia, un cristiano, un arabo, un musulmano, uno spagnolo, un ungherese, un mongolo, un turco. Certamente una prostituta, un uomo di guerra, un soldato di ventura, un letterato, un monaco di esigua castità, una donna violentata, un Muzio Scevola, un bertoldo, un disertore, una donna di struggente bellezza, un beduino, centinaia di affamati. Tutti questi esseri rivivono misteriosamente ma realmente in ciascuno di noi, cittadino del mondo.
Su questa direttrice potremmo anche scendere al dettaglio, chiamando in causa la onomastica, cognonomastica, toponomastica, cioè l’origine dei nomi, cognomi, luoghi e noteremo come ciascuno di noi è un essere multietnico e multiculturale, un mosaico di puzzle. Non siamo una razza bianca, pura, esclusiva. Siamo dotati di risorse di vastissima ricchezza spirituale, talenti, carismi, insieme ovviamente a inevitabili limiti e difetti. Basta consultare le nostre anagrafi comunali. Per brevità ci limitiamo fra migliaia a due appellativi. Provenienza di origine ebraica: Mariani, Bettinelli. Di origine greca: Nicolodi, Alessi. Di origine romana: Augusto, Giuliano. Di origine longobarda: Ansaldi, Alberti. Di origine musulmana: Mussolini, Amina. Di origine araba: Aida, Nadia. Di origine teutonica: Azzola, Gismondi. Di origine tedesca: Margherita, Rodolfo. Di origine ungherese: Ongaro, Bodel. Di origine spagnola: Almirante, Catalano. Di origine russa orientale: Igor, Ivano. E qui non saremmo troppo lontani dalla realtà se con l’appoggio della psicologia e della psicanalisi affermassimo che dentro di noi vi è l’inconscio di tutta l’umanità dalle origini del mondo al nostro tempo, includiamoci pure il discusso mitico peccato originale. Per cui siamo tutti ricettori e donatori dell’inconscio che emerge dai nostri sogni notturni, dai nostri desideri, dalle nostre frustrazioni, esorcismi, possessioni diaboliche, multi linguaggi, paure, visioni. Al di là della nostra morfologia ossea, cranica, articolazioni, statura, colore della pelle non vi sono fondamenti per distinguere fra razze superiori e razze inferiori.
Nel periodo 1930-40 vi è stata in Europa una recrudescenza del razzismo con l’esaltazione e la difesa della razza bianca per l’avvento del nazifascismo e potremmo affermare che i suoi fondatori e difensori oltre che di inaccettabile animosità hanno dato dimostrazione di crassa ignoranza, pardon di scarsa cultura, di sottocultura, anche se il fenomeno non si è concluso in quel periodo ma permane in parte pure ai nostri giorni. Sull’argomento vale anche la pena di chiederci quale sia stata nel tempo la posizione della chiesa cattolica. Essa ha dato un’interpretazione del Cristianesimo alquanto limitata. A partire da S. Agostino 400 d.C. che fece le seguenti affermazioni; ”chi ama il mondo non conosce Dio… Dio è più intimo all’uomo di quello che l’uomo non sia a se stesso ”. Indubbiamente l’espressione è profonda ed esatta. In effetti è sempre dal cuore dell’uomo che nascono atteggiamenti, azioni oneste o disoneste. Però è stata l’applicazione di questo principio che ha dato avvio a quella scissione fra individuo e società che per secoli fu conseguenza di un insegnamento troppo accentuato nella chiesa stessa. Perché se la destinazione dell’individuo è ultraterrena, l’esigenza dell’uomo sarà quella di prendere le distanze dal mondo stesso. Siccome la patria del Cristianesimo non è di questo mondo, il cristiano fa sì il suo dovere come cittadino, ma lo fa con una certa indifferenza riguardo al buono o cattivo esisto dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da rimproverarsi poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiù. Si trincea nel privato, salva l’anima tua, del vicino non si conosce neppure il nome, si arrischia totale indifferenza nei confronti del diverso, lo straniero, l’emigrato. Scriveva il Talmud (400 d. C,): ”Chi salva una vita salva il mondo”. Cui si può aggiungere: ”chi uccide una vita uccide il mondo” E se è vero quanto sopra detto aggiungasi pure: ”Chi uccide un uomo uccide se stesso. ”E qui c’è spazio alla riflessione: sono uomo e nulla di ciò che appartiene all’uomo mi è alieno, dicevano gli antichi. Nel più profondo del nostro essere il codice umano è uguale per tutti: siamo cittadini del mondo.

Autore
Albino Michelin
Adattamento: ColosseoNews
31.09.2019

Friday, August 30, 2019

FINE DI UN CAVALLO DA CORSA

Potresti essere stato il miglior cavallo da corsa al mondo. Veloce, bello, robusto e così tranquillo che le urla degli spettatori e il battito delle fruste, durante la corsa, sembravano non sfiorare le tue orecchie. Avresti potuto essere senza paura nell’affrontare ostacoli e fossi pieni d’acqua. Avresti potuto far guadagnare centinaia di migliaia di corone al tuo proprietario e a tutti quelli che, riponendo fiducia nelle quote degli allibratori e nelle riviste specializzate, avevano scommesso i loro soldi sulla tua vittoria, assieme alla  breve, meravigliosa gioia del vincitore.
Potresti essere stato inarrestabile, ambizioso e leale, e potresti essere stato amato da fantini, allenatori, allibratori, spettatori, proprietari e commentatori, da tutti loro.
Potresti aver fatto venire le lacrime ad uomini che non piangono mai, e baci e abbracci e accendere in loro una passione che altrimenti non erano in grado di provare.
Ma alla fine, quando hai affrontato tutte le battaglie, le tue caviglie si sono indebolite e il tuo manto ha perso la sua lucentezza, non conta più nulla. Perché se hai venticinque o trenta anni e sei stato impiegato per lungo tempo come cavallo da addestramento, allora ti condanneranno, con molta probabilità, al macello.
Faranno, così come un proprietario di cavalli descrive la procedura, gocciolare del sedativo nel tuo abbeveratoio, sette o otto gocce. Gli altri hanno bisogno di meno, ma tu non sei come gli altri, perché anche se la tua muscolatura si è ridotta, e la tua forza si è attenuata, sei ancora grande, forte e selvaggio.
Ti abbraccieranno ponendo la loro testa contro la tua, ti accarezzeranno il fianco ed il collo, passeranno le loro dita nella tua criniera. Poi ti faranno venire a prendere, probabilmente all'alba, quando il cortile è l’erba sono ancora immersi nella nebbia e tu sei ancora assonnato. Aiuteranno gli uomini a condurti al rimorchio ed a chiudere la porta. Guarderanno a lungo, in silenzio, il rimorchio che lascia il cortile con te.
Non appena l’auto con il rimorchio non sarà più visibile, si girerano. Hanno del lavoro da fare. E tu adesso sei solo.
Non sarà un lungo viaggio, forse venti minuti su una strada di campagna e strade sterrate. Non è un problema per te, sei già stato in questo rimorchio per ore. Ma questa volta è diverso. Alla fine del viaggio, arriverai in una fattoria simile alla tua, ma che non irradia calore bensì brividi di freddo. Apriranno portellone del rimorchio e sarai eccitato e irrequieto, perché non conosci l'ambiente e questo ti ha sempre reso nervoso.
Ti guideranno, alle briglie, fuori dal rimorchio e attraverso un cortile in un edificio piatto dove ti chiuderanno in una gabbia di metallo. Questa gabbia è molto più piccola del tuo box della tua vecchia stalla: puoi muoverti a malapena. Il pavimento è piastrellato e uno scolatoio oltrepassa i box dove sono rinchiusi altri cavalli. Rimarrai in quella gabbia per due o tre giorni, forse quattro. Ci vorrà del tempo prima che arrivi il tuo turno. Giorno dopo giorno molti dei tuoi vicini di gabbia scompariranno e ne verranno aggiunti dei nuovi. Quindi toccherà a te. E quello che sei stato, da quel momento non è più. Sarai dimenticato.

Da un articolo di Marc Bädorf
(traduzione e adattatamento ColosseoNews)
30.08.2019