Wednesday, September 20, 2017

HANS KÜNG SCELTA DI FINE VITA E FEDE

Hans Küng (Sursee, 1928) è un teologo e saggista svizzero di fama mondiale.
Oltre ad essersi dedicato allo studio della storia delle religioni, in particolare quelle abramitiche, Küng è noto internazionalmente soprattutto per le sue posizioni in campo teologico (rifiuta il dogma dell'infallibilità papale) e morale, spesso critiche verso la dottrina della Chiesa cattolica. Sebbene nel 1979 sia stato costretto a lasciare la facoltà cattolica, ha continuato a lavorare come professore emerito di teologia ecumenica all'Università di Tubinga. Nel 1993 ha creato la Fondazione Weltethos (Etica mondiale), impegnata a sviluppare e rinforzare la cooperazione tra le religioni mediante il riconoscimento dei valori comuni e a disegnare un codice di regole di comportamento universalmente condivise.

Nel dibattito sul diritto ad una morte affidata alle proprie responsabilità, di essere liberi di morire in maniera dignitosa e interrompere sofferenze fisiche e psichiche dovute a una malattia incurabile, Hans Küng ha reso pubblica la sua posizione. Ciò è importante perché proviene da uno dei massimi esponenti della teologia cristiana del nostro tempo che si trova, confrontato con la fine della vita.

Ancora una volta Hans Küng entra in conflitto con il Vaticano che non riconosce il diritto dell’autodeterminazione per chi sceglie di porre fine alla propria vita. Hans Küng sostiene che la la „Chiesa Gerarchica“ dovrebbe cambiare il suo atteggiamento sul tema tenendo presente che la „Chiesa dei fedeli“, secondo un censimento in Germania, ritiene al 77 percento che il diritto alle varie forme di scelta di fine vita debba essere riconosciuto.

A fine 2013 la giornalista Anne Will ha intervistato Hans Küng che a quel tempo aveva 85 anni ed era afflitto dal Parkinson ed altri disturbi di salute che lo condizionavano. Nell‘intervista Hans Küng sostiene il diritto di decidere il momento ed il modo di porre fine alla propria vita.

Si riportano alcuni passi dell’intervista:

 „Io desidero morire quando sono ancora me stesso, un uomo nella sua integrità, non un essere ridotto ad una esistenza vegetativa“

„Ci è stata data la responsabilità per la nostra vita. Perché questa responsabilità dovrebbe venire a mancare nella fase ultima della vita?“

„Segni iniziali di demenza sarebbero per me una chiara indicazione a cui far seguire passi concreti per porre fine attivamente alla mia vita“.

„La mia convinzione si basa sulla mia fede, poiché io non credo che la mia vita finirà nel nulla. Io posso capire la paura delle persone che non credono nella vita eterna e si sentono confrontate con il nulla. Ma io sono convinto che la mia morte non mi porterà nel nulla bensì in un‘ultima realtà primaria. Che il mio essere si ritroverà nella realtà suprema ed in essa troverà una nuova vita. Questo è ciò in cui io credo“.

Per l‘argomento trattato nell’articolo ritengo utile riportare alcune considerazioni di Salvatore Natoli.
docente e filosofo italiano, professore di filosofia teoretica.

Nel suo libro „Dizionario dei vizi e delle virtù“ nel paragrafo „Davanti la morte“ distingue l’esperienza con la morte di uomini caratterizzati da diverse convinzioni e destini.

„Certo, diversa è l’esperienza se la morte la si vive entro la certezza della resurrezione o entro la sicurezza della fine. E, tuttavia, in ambedue i casi, la morte può essere alta. Il credente è colui che nella morte si affida. Si affida come ha sempre fatto nella vita: in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Il cristiano nella morte si affida a un Dio che salva: ma c’è dell’altro: il cristiano, morendo, non abbandona coloro che lascia. Semplicemente li precede nella gloria. Come Gesù“.

Questa considerazione è in sintonia con quanto precedentemente citato da Hans Küng.

“Certo non muore così chi è convinto che i morti muoiano per sempre. Eppure in questo caso è possibile una bella morte. Per chi non si ritiene immortale, morire bene significa portare a compimento al meglio la propria vita. Il sapere morire in questo caso si disegna come il compito estremo dell’arte del ben vivere. Se chi muore è stato capace di inventarsi al meglio la propria vita, se è riuscito ad assegnare a essa meta e destino, se la sorte non gli è stata particolarmente avversa, se così si configura la sua condizione estrema, ebbene, egli potrà vivere la propria morte come il perfetto compimento di sé, a cui non c’è nulla da aggiungere, ove appaiono ridondanti e inopportune le ragioni dell’oltre. L’immortalità è di troppo: vita lunga, non vita eterna”.

“Se al contrario il dolore ha reso faticosa l’esistenza, ha spossato il corpo, ha frantumato i sogni, lasciati inevasi i desideri, per tutto ciò non è possibile risarcimento. In questo caso la morte giunge come salvezza, è essa non altro che liberazione. Innanzi a tutto ciò una medicina rispettosa dovrebbe silenziosamente ritirarsi, non intervenire, lasciare accadere”.

Sono perfettamente d’accordo con H.Küng, come lui ritengo giusto, morale e cristiano poter essere responsabile della propria vita fino alla fine.

Riferimenti:
Libri:
„Glücklich sterben? Hans Küng im Gespräch mit Anne Will“ Piper Verlag
„Dizionario dei vizi e delle virtù“ Feltrinelli/Saggi
Youtube:
„Vom Glueck des Widerspruchs - Anne Will im Gespräch mit Hans Küng“

Autore: Sandro
Zurigo 20.09.2017

Tuesday, September 19, 2017

RESTO CRISTIANO ANCHE SE SCELGO COME MORIRE

É la dichiarazione di Hans Küng, uno dei maggiori teologi viventi dell’ultimo cinquantennio. Nato nel 1928, vive in Svizzera a Lucerna. Sull’argomento in questione non ha molta importanza che egli sia stato esonerato dall’insegnamento nelle cattedre cattoliche per le sue idee, che pure hanno fatto da supporto all’impianto del Concilio Ecumenico 1962-65. Perché di fronte alla tua morte a come la senti e la vivi non ti sono di sostegno i tuoi ammiratori e fans né di ostacolo i tuoi detrattori e avversari. Sei solo, tu, la tua coscienza e Dio, nel caso abbia vissuto con lui un rapporto costante.
Fra le sue innumerevoli pubblicazioni l’ultima risale all’ottobre 2014 dal titolo ”Morire felici?”. Egli non parte a descrivere la morte in sé, o quella degli altri, dal testamento biologico o dall’eutanasia come realtà a me estranea, ma come esperienza personale, che vive con me, e mi accompagna sino all’ultimo passo. A leggerlo ti fa invidia, in quanto per la maggioranza di noi la morte non ci appartiene, è un tabù. Invece H. Küng afferma: ”resto cristiano anche se scelgo come morire”.
 Egli continua con coerenza sino alla fine a professare la prima delle quattro norme immutabili dell’etica mondiale, analizzate in un altro suo libro, quella sul dovere di una cultura del rispetto per ogni vita, proclamata dal Parlamento delle religioni mondiali nel 1993: non uccidere, o in forma positiva: rispetta ogni vita. Ogni uomo ha il diritto alla vita, all’integrità fisica e al libero sviluppo della personalità nella misura in cui non lede i diritti altrui. Nessun uomo ha il diritto di tormentare fisicamente o psichicamente o di uccidere un suo simile. Tuttavia proprio perché la persona umana è infinitamente preziosa e va protetta sino alla fine occorre riflettere attentamente sul significato di queste parole nell’epoca della medicina tecnologicamente avanzata, in grado di provocare la morte in un modo per lo più indolore ma in molti casi anche di protrarla in misura considerevole.

Afferma Küng: “L’idea di concludere la mia vita in pace ed in armonia trae ispirazione dalla Bibbia. Come cristiano e come cattolico per me è determinante la Bibbia, mentre la chiesa dovrebbe avere il massimo rispetto di non entrare in merito e condannare come suicido o escludere dai funerali religiosi chi compie questa scelta. La vita è sacra, ma anche la qualità della vita lo è, e molto più sacra ancora è la modalità di morire.”
 
L’ars moriendi, l’arte del morire è un argomento che affascina questo teologo fin dagli anni 50 quando suo fratello Georg soffrì per mesi di   tumore inguaribile al cervello. Si è imposto ancor di più alla sua attenzione da quando a partire dal 2005 un suo caro collega e amico ha iniziato non ostante le migliori cure a vegetare nella nebbia della demenza fino a spegnersi nel 2013. Queste esperienze hanno rafforzato le sua convinzione: ”non voglio morire così”. Nello stesso tempo tuttavia gli hanno dimostrato quanto sia difficile cogliere il momento giusto per una morte affidata alle proprie responsabilità.

Scrive: ”l’intenzione di non protrarre a tempo indeterminato la mia esistenza terrena è un caposaldo della mia arte di vivere e parte integrante della mia fede nella vita eterna. Quando arriva il momento, qualora ne sia ancora in grado di scegliere con la mia responsabilità, difendo il diritto a quando e a come morire. Se mi venisse concesso vorrei spegnermi in modo consapevole e dire addio ai miei cari con dignità”.

Il che non significa morire senza malinconia e senza dolore bensì andarsene consapevolmente accompagnati da una profonda soddisfazione e dalla pace interiore. Del resto è questo il significato della parola eu-thanasia, entrata in molte lingue moderne, ma storpiate vergognosamente dai nazisti in morte felice, buona, giusta, lieve, bella. Questa eutanasia non ha nulla a vedere con l’auto assassinio arbitrario pianificato per provocare l’autorità ecclesiastica, come lo accusano alcuni sui media e con lettere personali. Evidentemente alcuni suoi rappresentanti non hanno ancora capito che anche la nostra visione dell’inizio-fine vita si trova al centro di un paradigma epocale, che non si può penetrare e dominare con l’immaginario e la terminologia della teologia medievale. Oggi è necessario prendere in considerazione il notevole prolungamento della vita consentito dal progresso prima impensabile della medicina moderna, ma bisogna tenere conto anche delle idee successive che sottolineano i limiti di una medicina basata su argomenti e criteri esclusivi delle scienze naturali e della tecnica. E’ aumentata la percezione della necessità di dare un fondamento etico a una medicina globale che tuteli l’umanità del paziente. Anche nella chiesa cattolica esiste, sin dall’insediamento di Papa Francesco, la speranza di una maggiore franchezza e di un aiuto caritatevole in questioni, come risaputo, assai complesse.
Queste le posizioni del grande teologo H. Küng nei confronti della morte che si può giudicare correttamente solo se si conosce il suo interesse costante per gli argomenti dell’esistenza espressi in una molteplice serie di pubblicazioni che ci rivelano le sue grandi passioni: la questione di Dio, l’essere cristiani, la vita eterna, la chiesa, l’ecumenismo, le religioni mondiali, l’etica globale.

Autore: Albino Michelin
A cura di ColosseoNews

Friday, September 15, 2017

RITA ATRIA: LA VERITÀ VIVE

Partanna, paese di 12 mila abitanti all’incirca in provincia di Trapani, posto in collina fra la valle del Belice e il mare, è famoso in tutta Italia e anche nel mondo per le sue cantine vinicole e i suoi oleifici di pregiata esportazione. Miracolato e benedetto se nemmeno il terremoto ce l'ha fatta a buttarlo giù in quella notte di gennaio 1968. Bello a visitarsi con i suoi gioielli barocchi racchiusi dentro le mura del castello normanno. Ma anche lì i figli di padri zappatori sono tutti a spasso, benché tutti intellettuali e professori.

A Partanna ci ero capitato per caso venerdì 31 luglio 1992 e mi ero soffermato più del previsto per assistere ad un funerale. Non ne sapevo nulla, chiesi informazioni. Si trattava di Rita Atria, suicidatasi a Roma, gettandosi dal settimo piano del Palazzone di Via Amelia 23. La bara non fu portata in chiesa, la cerimonia venne celebrata al cimitero, non c'era la banda a suonare l'Ave Maria di Schubert come da Rita desiderato nel suo diario, poca gente, atmosfera pesante e diffidente. Don Calogero Russo, parroco della matrice, officiante di turno, sbanda, si dilunga a parlare sul suicidio, un grave peccato, aggiungendovi poi considerazioni fuori luogo sulle depressioni della ragazza, a tal punto che un gruppo rappresentativo di 12 donne del digiuno provenienti da Palermo interruppero il predicatore gridando: "Rita non ha peccato, Rita ha parlato".
Due settimane più tardi lo stesso sacerdote fece circolare un foglio ciclostilato con furibonda arringa contro la stampa che aveva infangato il buon nome di Partanna e contro i giornalisti, un centinaio presenti al commiato funebre, colpevoli di aver esportato in tutto il mondo un immagine negativa del paese. Anche quest'anno 2004 ci sono ritornato, ho visitato la tomba di Rita, sulla sua lapide una semplice pietra di marmo assai eloquente, baciata dal vento del Sud: "La verità vive". Di fronte a messaggi del genere e conoscendo la storia del tanto sangue sparso e degli eroismi compiuti, non si può che mettersi in ginocchio e pregare perché a Partanna e in tutto il mondo l'odio e i segni di morte possano essere sconfitti.
   Rita per 17 anni mangia pane vendetta
Era nata in Via Pergole 24 nel 1974, in una famiglia coinvolta fino al collo nelle cosche mafiose. I muri della sua casa erano da sempre tappezzati di foto di gente d'onore e di picciotti. All'età di 11 anni le portarono a casa il padre (Don) Vito crivellato da colpi di mitraglietta, e sei anni più tardi il 24.6.91 la stessa sorte toccò al fratello Nicola, freddato davanti alla sua Pizzeria Europa nel paese di Montevago, 14 km di distanza. La moglie di questi, Piera Aiello, decise di collaborare con la giustizia e passò dunque dall'altra parte, saltò il fosso. Rita maturò la stessa scelta. Era stanca di assistere ad un viavai in casa sua in cui altro non si parlava se non di codici d’ onore. Regola d'oro, fra padrini o fotti o sei fottuto, un uomo d'onore non esce di scena. O resta nel giro di quelli che contano o crepa. Primo comandamento del sottobosco mafioso: essere uomini, non ominicchi o “quaqquaraqua". Rita non sopportava più di essere prigioniera di questo giro dei "malacarne". Ragazza dalla testa dura e coraggiosa esce di casa e a 17 anni si iscrive all'Istituto Alberghiero di Sciacca, vuole cambiare vita. Entra in collisione con la madre, donna che Rita scriverà non volerla vedere nemmeno ai suoi funerali perché rinnega gli affetti familiari per quelli mafiosi. Donna che appunto, perché fedele più al codice d'onore che a quello materno, rinfaccia alla figlia che non avrebbe nemmeno dovuto venire al mondo, che l'aborto non è riuscito perché il padre si è interposto, che non deve immischiarsi di nulla, non deve dire fesserie, non fare la spiona.
Rita è una ragazza orgogliosa ma coraggiosa, travagliata fra il nuovo e il vecchio, al bivio fra la tradizione di omertà e la voglia di cambiare, non si arrende. All'inizio di novembre del 91 si presenta alla pretura di Sciacca, decide di parlare e di collaborare essa pure come la cognata Piera con la Giustizia. Denuncia tutto quello che aveva sentito all'interno della sua famiglia protetta e prediletta dai padrini locali. Elenca i nomi di uno ad uno di tutti i picciotti, mandati, mandanti, commissionati e committenti. Salta fuori tutto e di più: Partanna, città mattatoio fra il 79 e il 91, una ventina di persone, rimaste sul selciato, una faida che coinvolgeva le famiglie più insospettate. Mezzo paese messo agli arresti, posto in manette, girato in galera. Rita passa sotto la protezione del Giudice Paolo Borsellino, il quale per garantirle l'incolumità personale la consiglia di trasferirsi a Roma, come di fatto avvenne alla fine di novembre del 1991. Di lì, insieme con la cognata Piera, poté scrivere anche il suo diario che è un messaggio.
 "Come è bello essere fuori dal caos di Partanna, un paese di vedove e di orfani come me, come è bello essere puliti, sentire che non devi dire bugie. Non ce l'ho con i partannesi, ma con le vedove che non vogliono parlare. La Sicilia è un paese che muore".
In un'altra pagina del suo diario 14 marzo 92 scrive:
"L'unica speranza è non arrendersi mai. L'unico modo per cambiare è rendere coscienti i ragazzi perduti nella mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici. Se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo".
Ma, come noto, il 19.7.92 il giudice Borsellino del Pool antimafia viene assassinato. Ecco le ultime righe di Rita: "Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi. .. ". Poi la fine di Rita, anni 18. Morta non di solitudine, ma di mafia.
   Rita, eroina inutile?
Nel maggio 2004 in occasione del 12° anniversario della strage di Capaci (uccisione di Falcone) l'Università di Palermo ha distribuito un'inchiesta fra 135 ragazzi. Risultati devastanti: Falcone, Borsellino, ecc. eroi inutili perché si sono fatti ammazzare. Meglio farsi gli affari propri che denunciare a uno sbirro ... Chi denuncia a uno sbirro è uno spione perché si schiera con le autorità e ne diventa complice ... Chi vuole immolarsi, per gli altri è un eroe stupido ... "Cu joca sulu, nun perde mai" (Chi gioca solo non perde mai). Desolante, ma c'è di più: alcuni membri del clero trapanese a fine luglio dissero: Rita è un caso gonfiato, è una romanzata sostenuta da alcune "cornacchie" di Palermo (donne antimafia). Probabilmente non è nemmeno morta, al cimitero al posto suo potrebbe esserci chissà chi...  "Bella sta chiesa siciliana, molto loquace e dalla parlantina facile". Proprio alla scuola del Cardinal Ruffini che negli anni 70 sosteneva che un mafioso vale più di 100 comunisti. Quello frequenta la chiesa ai primi banchi, questi la vogliono distruggere. Sullo stesso tono mi raccomandarono alcuni ben noti esponenti del paese: “stia cauto a scrivere su Rita Atria. E' una povera ragazzina montata eroina".

In tanta notte però la piccola luce di Rita brilla ancora. In effetti la piazza di Partanna prima Vittoria, poi Garibaldi, ora è dedicata a Rita Atria. Anche quest'anno a Roma in Via Amelia 23 il Gruppo di Don Ciotti e altri movimenti il 26 luglio si riunirono per una celebrazione ed un impegno, così pure sulla sua tomba di Partanna le donne "del digiuno" di Palermo. Segno che c'è gente a distanza di anni che non si arrende all'impotenza, alla logica mafiosa, alla sopraffazione, all'onorata società, all'illegalità. Un'opinione alla chiesa siciliana? Non ci sono soltanto i martiri per la fede cristiana e per Gesù Cristo da festeggiare e nelle feste patronali da esaltare a suon di cannonate e fuochi d'artificio. Vi sono anche i martiri per la libertà e la dignità di tutti gli uomini. Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Mattarella, Livatino, Vitale, La Torre, Rita Atria, voi siete i martiri del mondo nuovo, anche se nessuno vi metterà sugli altari. Dai Rita, anche tu, non mollare, stellina di Partanna, gridalo sempre a tutti: "La verità vive!".

Autore: Albino Michelin
a cura di ColosseoNews