Sunday, May 12, 2019

OFFERTE RACCOLTE DURANTE LA MESSA: PRECEDENZA ALLA RAZZA BIANCA

Nella chiesa di Mira in provincia di Venezia il parroco Gino Ciccuto la domenica 3 marzo 2019 trova nel cestino delle offerte della messa una busta contenente un obolo con la scritta: “prima i pensionati e gli anziani italiani da sempre, e immigrati stranieri per ultimi”. Il sacerdote ovviamente non ci sta e risponde che queste parole non hanno nulla a che fare con la fede e la vita cristiana e che l’elemosina va destinata prima di tutto ai più poveri senza guardare al colore della pelle e alla provenienza. Il criterio discriminante non è l’italiani ”prima i nostri” ma “la persona”. E bene fece il nostro don a riportare indietro la busta al razzista offerente affinché se la gestisse lui senza strumentalizzare il luogo sacro.  Eh sì, siamo all’elemosina sovranista, suprematista secondo un ultimissimo gergo, del più becero populismo. In questo articolo intendo riferirmi soltanto agli italiani orgoglio cattolico, non agli agnostici, indifferenti, atei. E non perché questi valgano di meno, ma perché non hanno nel loro vangelo il consiglio di Gesù: ”ero straniero e mi avete accolto”. E sottintendiamo pure accoglienza sostenibile.
Tutto questo però ha un nome, un’origine, una persona chiara e precisa che bello sarebbe tacerla per non immortalarla fuori tempo: Matteo Salvini. Conosciamo già le sue espressioni che partono da lontano ”gli stranieri? Sparare sulla carrette del mare, se annegano vuole dire uno, cento di meno, finita la pacchia, vengono qui a farsi le crociere, feccia della società, estirparli con la ruspa” e un’infinità di disumane turpitudini  ipocritamente santificate e benedette con l’agitare nella piazze la Bibbia, la corona del rosario, indossando T-shirt con la scritta ”il mio papa è Benedetto”, (ci mancherebbe citasse Francesco, che esibisce una spilla aprire i porti), con la perorazione sulla famiglia tradizionale (ma beato lui che ha quattro “mogli” : Jeluzzi, Martinelli, Isoardi, Verdini ) e vive da  poligamo musulmano col crocefisso da sbattere in faccia ai musulmani e tutta una serie di oltraggi di cui sono  pieni i giornali , le TV, e le pance nostre. La volpe cambierà pelo ma non il vizio.  E’ lui il missionario dei cattolici cui il presente articolo si rivolge. ”Lui ci porta sui sentieri sicuri”. E’ il salmo 23 che sarebbe riferito a Dio ma che questi nostri riferiscono a Salvini, l’atteso Messia. Caro cattolico, vittima dell’isterismo collettivo sull’invasione degli stranieri, conosci i numeri? Italia abitanti 60 milioni, stranieri 8% (Germania 12%, Svizzera 22%...) Gli irregolari o rifugiati in Italia sono mezzo milione, nemmeno l’1%. Praticamente 3 su mille abitanti (Malta 18 su mille). Gli stranieri in Italia contribuiscono con 6 miliardi di introiti mentre ne consumano 3 per la loro assistenza. Praticamente ci salvano il sistema pensionistico dal collasso. L’emigrazione, caro il mio cattolico, è una risorsa, lo sarà anche di più per il futuro. Dato che i nostri italiani i lavori sporchi non li fanno, i giovani se ne vanno all’estero, e figli non abbiamo voglia di farne anche se ci arrivasse una montagna di sussidi per le famiglie numerose. Ti prego di ampliare l’orizzonte: nel mondo gli emigrati sono 244 milioni, i rifugiati 60 milioni, discendenti italiani nel mondo da 60 milioni in su. In futuro nessuno potrà fermare lo spostamento delle civiltà o costruire muri messicani alla Trump, come non potrà fermare il treno con le mani. Magari non verranno in Italia per lavorare, ma per colonizzarci, come i cinesi che ci stanno sloggiando dai nostri bar, pizzerie e ristoranti, con tanti auguri per le nostre tradizioni, per l’Europa cristiana e per la conservazione della razza bianca come sostiene l’altro collaboratore missionario di Salvini, il xenofobo Fontana, governatore della Lombardia.
 Caro cattolico il nostro nemico e pericolo non è il negro, come ti indottrina il tuo neopastore chiudendo i porti, ma l’Italiano, con la sua mafia, la sua corruzione, la sua evasione fiscale e tutto il corredo di furbate. Ma tu continuerai aggiungendo che con Salvini si è garantita sicurezza e pulizia dai terroristi e dai malintenzionati. Non pare, invece è aumentata la paura e l’astio contro lo straniero. Vedi le mense scolastiche di Lodi negate ai bambini emigrati, le scritte sui muri morte al negar, le umiliazioni da parte degli insegnanti tipo Bocci di Foligno inferte ai due fratellini ganesi ”gira il tavolino scimmia, che nessuno ti veda quanto sei brutto”. Questo clima di disprezzo diffuso e sotterraneo può causare reazione o per emulazione, o per contestazione.  Ad esempio l’autista (solo pazzo?) italo senegalese che il 20.3. stava per incendiare nel milanese un bus di 50 studenti disse di voler vendicare i bambini, le donne incinte, e tanti disgraziati profughi fatti morire in mare. Il tuo missionario, caro cattolico, questo non lo capisce, continua con ciarlatanerie da antropoide, ingigantisce il crimine di un nero nei confronti dei bianchi, tace sullo stesso se compiuto da un italiano, ignora gli atti eroici di volontari missionari (non salvinisti) e laici, come il gruppo deceduto nella catastrofe del Boeing in Somalia il 10 marzo con un altruista dal cuore grande come Paolo Dieci. Ma dal pastore leghista nemmeno un cenno di ammirazione. In Senegal continua a vendere armi per 3 miliardi all’anno, e così i “negri” verranno qui a spararci con le nostre armi. Come bastasse predicare onestà e legalità a scopo elettorale, governo del cambiamento, e ripetere la vecchia politica. Per l’integrazione degli stranieri nessun stanziamento di fondi. Anzi il tuo missionario chiude i centri di accoglienza, così gli emigrati sbandano per le strade, disturbano gli italiani raggiungendo lo scopo di aumentare l’odio contro gli stessi.  Salvini e la lega hanno rubato 50 milioni agli italiani, scansato il processo perché li restituiranno entro 99 anni, padroni a casa nostra. Zero rispetto della propria professione: al parlamento europeo si è presentato solo una volta meritandosi l’epiteto di fannullone, burattinaio del presidente del Consiglio.  Al governo italiano dopo le elezioni del marzo 18 ha presenziato da allora al 2% delle commissioni. Sempre a bighellonare in giro per l’Italia, per raccogliere consensi di partito, indossando svariate divise e felpe carnevalesche per foto con i mafiosi e raccogliere il loro baciamano. Vedi ad Afragola con Chianese, a Milano con gli ultras dell’Inter. Questo è incentivare la malavita, meritandosi così il titolo affibbiatogli da Saviano “Ministro della malavita”. Ovvio che l’Europa non dialogherà mai con un simile arrogante pallonaro per la redistribuzione dei migranti fra i diversi paesi. Anche perché Salvini non si è mai presentato agli incontri sui Trattati di Dublino in vigore dal 15-6-90 per cambiare le normative, se ne frega come bullo che si vanta di battere i pugni sul tavolo e così si sente qualcuno. Con L’Europa ci vuole intelligenza, diplomazia e costanza. Il nostro destinatario cattolico doc dovrebbe sapere che allorquando il missionario si doveva presentare al processo faccenda nave Diciotti per sequestro di persona, aver lasciato in mare bambini in pericolo di vita e aver ignorato tre diritti fondamentali, il diritto del mare, il diritto costituzionale, il diritto umano, con umiliante viltà si andò ad elemosinare voti ai parlamentari per sfuggire 18 anni di galera. Furbata riuscita con la votazione del 27.3.19. Onestà e legalità? Flop. Nulla però potrà innocentare il suo spirito omicida.  Il nostro cattolico dell’orgoglio pro consensite ci obbietterà comunque che il consenso politico di questo leader aumenta sempre di più. Al che una risposta: il consenso numerico non si identifica per nulla con il consenso morale. Un consiglio: cessa di grazia di fare il cattolico e scegli di diventare cristiano. Per eventuali conforti intellettuali in materia ti sarà utile il libro di Don Ciotti ”Lettera ad un razzista del terzo millennio “. E buona lettura.

Autore: Albino Michelin
Adattamento: ColosseoNews
08.05.2019

Tuesday, May 7, 2019

IL GRANDE TORINO

Il 4 maggio 1949 è stato funestato da una tremenda sciagura per lo sport italiano. L‘aereo che riporta a casa la squadra di calcio del Torino, reduce da Lisbona dove aveva giocato una partita amichevole,  precipita e si incendia sulla collina di Superga. Tutti i 18 giocatori, i dirigenti e tre giornalisti perdono la vita.
I sentimenti di sgomento, dolore, tristezza che si diffusero in tutta Italia, quando la radio dette la notizia, sono rimasti impressi indelebili nella coscienza collettiva del paese.
Sul sito di LazioWiki ho letto l’articolo scritto da Indro Montanelli sulla tragedia di Superga. Lo riporto sul mio Blog perché rende mirabilmente omaggio, a distanza di 70 anni, al GRANDE TORINO. L’articolo evidenzia inoltre la magia del calcio che riesce, quando si è giovani e anche dopo quando si è avanti nell’età, a far sognare i suoi appassionati.



Articolo di Indro Montanelli sulla tragedia di Superga del 4 maggio 1949
Oggi, affacciandomi alla finestra, non ho visto giocare a calcio i ragazzini in piazza San Marco, sulla quale guarda la mia casa, tra i resti delle bancarelle che vi tengono mercato il lunedì e il giovedì. In genere, ce n'è una nuvolaglia, affaccendati a correre dietro palle, di tutte le categorie e di tutte le età: scolari delle scuole medie con la cartella dei libri abbandonata in un angolo e le dita macchiate d'inchiostro, garzoni di fabbro con la tuta sudicia di morchia, apprendisti parrucchieri con la chioma lustra di brillantina. Li conosco tutti dai nomi di battaglia che si son dati: "Mazzola" è un tracagnotto biondastro dalla faccia larga e ridente; "Gabetto" un bruno esile e nervoso che ha la specialità di non scomporsi i capelli nemmeno nelle fasi più focose del giuoco; "Bacigalupo" è quello che, in genere, difende la porta, sorprendentemente agile per la sua rotonda corporatura; eppoi "Castigliano", "Menti", "Loik", "Ballarin", "Maroso", e cosi via.
Ci sono, ci sono stati tutti i giorni, in piazza San Marco, a giuocare: non so da quando, forse da sempre. Si allenano per la grande partita della domenica, quando si mettono in maglia e mutandine, e allora, ai margini, si raccoglie anche il pubblico dei passanti a guardare. In una di queste partite, uno di essi che si chiamava "Grézar", fu degradato sul campo: cioè i compagni gli tolsero quel nome, e gliene diedero un altro, più modesto. Oggi la degradazione è stata generale. Sparpagliati a gruppetti, ai quattro angoli della brulla piazza, a semicerchio intorno a uno che leggeva un giornale sgualcito, i ragazzini di San Marco avevano ripreso ognuno il proprio nome di tutti i giorni, quello col quale il maestro, a scuola, li chiama a recitare la poesia di Aleardi e il padrone della bottega li iscrive nel sindacato dei "praticanti". E così "Mazzola" non era più che Dubini Mario, alunno della "quarta B". Era lui che leggeva il giornale ai compagni, sedutigli attorno in semicerchio, e ogni tanto approfittava della ciocca di capelli che gli scendeva sulla fronte per ritirarsela su, e passarsi, intanto, la mano sugli occhi.
I suoi compagni più piccoli quelli che, in genere, venivano adibiti, nelle partite della domenica, a raccogliere le palle che uscivano in "fallo laterale" (quante volte ho rabbrividito, alla finestra, vedendoli guizzare fra un tram e un'automobile!) e che aspiravano a diventare, a loro volta, Loik, Gabetto, Bacigalupo e Maroso, stendevano, a una a una, per terra, come un generale distende la sua truppa, le figurine dei popolari giocatori, di cui ognuno di essi è, più o meno, ricco collezionista. C'era un po' di vento, e il pulviscolo di rena, che esso trascinava nella sua corsa, ogni tanto ricopriva una di quelle figurine, minacciando di sotterrarla; ma subito il collezionista la spazzava via, passando col dorso della mano una lieve carezza sul cartoncino e poi soffiandoci sopra, puntualmente. Sono ancora gli unici, i ragazzini di piazza San Marco e di tutta Italia che si ostinano a lottare contro i tentativi della rena di inghiottire i loro diciotto eroi. E le figurine che li rappresentano nell'atto di calciare la palla o di ghermirla al volo, continuano ad essere oggetto di un affettuoso e reverente mercato, seguitano a passare di mano in mano, come vivificati per l'eternità dalla rispettosa ammirazione che suscitano nei loro giovani emuli.

Per la partita del 22 maggio con l'Austria, se si farà, il collega Carosio, miracolosamente scampato al disastro, dovrebbe fare, per i ragazzi di tutta Italia, una trasmissione speciale, ribattezzando col nome degli scomparsi i loro sostituti. - Mazzola passa a Menti; Menti indietro a Castigliano...- dovrebbe egli dire al microfono; chè almeno ai ragazzi non sia tolta l'illusione dell'immortalità. Sono appena cinque giorni che li abbiamo visti giuocare l'ultima volta, qui a Milano …. E già domani l'erba comincerà a crescere sulla tomba di quei diciotto giovani atleti che sembravano simboleggiare una omerica, eterna, miracolosa giovinezza. Come possono rendersene conto i ragazzi di piazza San Marco e i giovani di tutta Italia?
Gli eroi sono sempre stati immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno i ragazzi, che il "Torino" non è morto: è soltanto "in trasferta". Ma anche a noi, che con animo di ragazzi abbiamo sempre frequentato e seguitiamo a frequentare gli stadi, sia consentito immaginare i diciotto atleti del "Torino", "in trasferta". Oh, non ci è difficile raffigurarci il grande campo che, lassù, li attende: senza limitazione di posti, lastricato di erba eternamente verde e molle, senza macchie di nuda terra. La squadra campione, con tutto il suo orgoglio di bandiera, ha voluto recarvisi a carico pieno: non solo gli undici "titolari" ha condotto con sè; ma anche sette "riserve", e l'allenatore, e il massaggiatore, e il direttore tecnico, e perfino tre giornalisti.
Sul grande campo di lassù ci sono vecchie conoscenze ad attenderli. In prima fila Emilio Colombo, l'Omero dello sport italiano, forse l'unico tra noi che abbia serbato, sino a sessant'anni, intatta, la facoltà di credere nell'immortalità degli eroi. Accanto si tiene, in un gesto di affettuosa protezione, Attilio Ferraris che di poco lo precedette. Ferraris è ancora in "maglietta", perchè in maglietta partì per la grande "trasferta", come Caligaris, mi sembra. Essi non rientrarono, infatti, negli spogliatoi, dopo l'ultima partita casalinga: dallo stadio di quaggiù a quello di lassù, tutto d'un fiato. E Neri? Eccolo lì, col suo lungo naso. Quella del "Torino" fu proprio l'ultima sua maglia, e non l'abbandonò che per ammantarsi di tricolore, dopo che i Tedeschi l'ebbero fucilato su una collina di Romagna. Ma ora rientrerà in squadra con i compagni; sarà il diciannovesimo campione d‘Italia in quest'ultima definitiva "trasferta".

Ascoltate, ragazzi di San Marco e di tutta Italia, ascoltate la radiotrasmissione di Emilio Colombo, che ha ricevuto dalle mani di Carosio, per oggi, il microfono …. "Mazzola passa a Menti, Menti indietro a Castigliano... (e qui la voce si fa concitata, e i ragazzi di San Marco e di tutta Italia si stringono, con gli occhi dilatati dall'emozione e dalla speranza, intorno all'altoparlante)... Castigliano avanti di nuovo a Mazzola che dribbla uno... due... tre avv... goal... goal... ".
Chi grida cosi, chi grida? Siete voi stessi, ragazzi, o il vecchio Colombo, l'unico tra noi che sia riuscito a serbare, intatta, sino a sessanta anni, la facoltà di credere negli eroi? O tutta la folla di quell'immenso stadio senza limitazione di posti in cui il "Torino" è andato a carico pieno (undici "titolari" e sette "riserve") a giuocare la sua ultima vittoriosa "trasferta"?
Triste è piazza San Marco, calva di alberi, con le sue gialle chiazze di terra senz'erba, con i suoi gruppetti di ragazzi spogliati dei loro nomi di battaglia e senza palla, solo con le figurine allineate tra le pozzanghere. Le due squadre che vi giuocheranno domenica hanno deciso di portare il lutto: un segno nero al braccio, sulla maglia. I passanti si fermeranno, come sempre, a guardare; ma invano tenderanno l'orecchio per udire: - Forza Maroso... bravo, Bacigalupo... - nelle fasi salienti della partita. Domenica i giuocatori si chiameranno soltanto Dubini Mario, Rossi Francesco, Bianchi Giuseppe, e giuocheranno in silenzio, senza apostrofarsi. Domenica, otto giorni soli saranno trascorsi dall'ultima partita a San Siro dove il "Torino", solo a furia di orgoglio, si ricucì sul petto il quinto scudetto che inalienabilmente gli spetta (e voglio veder chi oserà portarglielo via) ma già i primi esili fili di erba saran cresciuti sulle diciotto tombe della squadra in "trasferta". "Forza Torino!", "Vinci Torino!".

sintesi a cura di ColosseoNews
05 maggio 2019