Tuesday, November 19, 2019

VENEZIA CON L'ACQUA ALLA GOLA

Il 15 novembre 2019 la marea a Venezia ha raggiunto i 184 cm. Il dato più alto dal 1966 quando raggiunse i 194 cm. L’acqua ha invaso la basilica di San Marco allagando la cripta. La città semissommersa è in stato di emergenza.

Venezia è in ginocchio e tutti ci rattristiamo e piangiamo con lei. Tutti?
In caso di inondazioni, terremoti, crolli di ponti e altri disastri di grande portata, i politici italiani non mancano di approfittarne per profilarsi. Gli uni per sputare veleno e criticare quello che non è stato fatto e che avrebbero dovuto fare loro, quando erano loro al potere. Gli altri per fare delle grandi promesse che una burocrazia irragionevole, una corruzione onnipresente e una mafia onnipotente renderanno vane o almeno ridurranno e ritarderanno in tutti i modi. I due ruoli, di criticatori e di pro­mettitori, sono naturalmente intercambiabili in funzione dei partiti al governo.
I politici devono essere presenti. Arrivano con le loro piccole corti di segretari, portaborse, guardie del corpo e altre persone, delle quali la necessità e i compiti non sono chiari. Con il loro corteo di automo­bili ingorgano le vie di comunicazione in difficoltà, ostacolando l’arrivo di soccorritori, generi di prima necessità e medicinali, viveri e mezzi. Mettono a disagio le autorità locali, che devono predi­sporre per accoglierli e assisterli, devolvere adeguato personale di sicurezza da altri compiti molto più urgenti. Tutti incarichi supplemen­tari, ai quali si devono dedicare le autorità locali, che avrebbero ben altro da fare.
Così, i politici perseverano nel farci vedere le loro facce che non vorremmo più vedere e farci sentire quei discorsi che non vorremmo più sentire.
Come sarebbe bello, se questi politicanti si rimboccassero le maniche ed aiutassero gli abitanti a mettere in salvo quel poco che è loro rimasto, o si dedicassero ad altre opere di soccorso? Sarebbe bello, ma solo in teoria. I politici sanno usare la lingua, e come bene, ma non sanno più usare le mani per lavorare: si sporcherebbero e allora … addio “Mani pulite”!

Autore: E.Violi
Adattamento: ColosseoNews
18.11.2019

Friday, November 1, 2019

CITTADINO DEL MONDO

Qualche anno fa circolava questa interessante poesia semplice senza rime ma densa di significato:
” Cittadino del mondo, il tuo Cristo è ebreo, la tua democrazia è greca, la tua scrittura è latina, i tuoi numeri sono arabi, la tua auto è giapponese, il tuo caffè è brasiliano, il tuo orologio è svizzero, il tuo walkman è coreano, la tua pizza è italiana, la tua camicia è hawaiana, le tue vacanze sono turche, tunisine, marocchine. Cittadino del mondo non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.”
Vent’anni fa un testo del genere suonava bene, nulla di più, oggi invece è diventato una provocazione. In effetti in Italia basta ti scappi fuori l’espressione straniero e ti senti male, perché crei una reazione carica di insulti. Eppure a pensarci bene, dentro a ciascuno di noi esiste tutta l’umanità del passato, dalle origini del mondo in poi. Si chiami Adamo, l’africana Lucy o Pitecantropo. Nessuno dovrebbe offendersi quando si sente dire “prima gli italiani, prima i cattolici”, slogan di tante campagne elettorali che negli ultimi tempi hanno alimentato incontri e scontri pubblici.
Ora si pone una domanda sono io, un vero italiano, un vero cattolico? Fa riflettere quanto si legge il libro di Ettore Masina:” Naufraghi di terra” nella citazione di Elvio Beraldin. Ciascuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisnonni. Se ci si appassiona al calcolo degli anni si arriva a numeri impressionanti, lontanissimi da quelli il cui concetto moderno di famiglia ci ha abituati. Retrocedendo alla decima generazione pressappoco fine 1600 gli avi di ciascuno di noi equivalgono numericamente alla popolazione di un villaggio, 512 padri e altrettante madri. Spingendoci agli inizi del 1500 riempirebbero una città, circa 65 mila, ma penetrando oltre il tempo diventerebbero un popolo. In teoria portiamo ciascuno di noi nel nostro sangue particelle genetiche di più di 8 milioni di persone che vissero nel 1300, immenso popolo che alla lunga ci rende un po’ tutti parenti.
Il sangue non è acqua e hanno ragione gli antropologi quando dicono che il DNA di noi italiani oggi porta l‘impronta degli etruschi, dei greci, delle genti che passarono nella nostra penisola in tempi remoti. E siccome l’Italia è stata arata dagli eserciti conquistatori di vari continenti importando pure schiavi, trafficanti, ladroni, il nostro suolo è stato sconvolto, assetto demografico e sociale compreso. Tutti siamo meticci. Fra gli antenati di ciascuno di noi vi è certamente un fenicio, un greco, un gallo francone, un negro della Nubia, un cristiano, un arabo, un musulmano, uno spagnolo, un ungherese, un mongolo, un turco. Certamente una prostituta, un uomo di guerra, un soldato di ventura, un letterato, un monaco di esigua castità, una donna violentata, un Muzio Scevola, un bertoldo, un disertore, una donna di struggente bellezza, un beduino, centinaia di affamati. Tutti questi esseri rivivono misteriosamente ma realmente in ciascuno di noi, cittadino del mondo.
Su questa direttrice potremmo anche scendere al dettaglio, chiamando in causa la onomastica, cognonomastica, toponomastica, cioè l’origine dei nomi, cognomi, luoghi e noteremo come ciascuno di noi è un essere multietnico e multiculturale, un mosaico di puzzle. Non siamo una razza bianca, pura, esclusiva. Siamo dotati di risorse di vastissima ricchezza spirituale, talenti, carismi, insieme ovviamente a inevitabili limiti e difetti. Basta consultare le nostre anagrafi comunali. Per brevità ci limitiamo fra migliaia a due appellativi. Provenienza di origine ebraica: Mariani, Bettinelli. Di origine greca: Nicolodi, Alessi. Di origine romana: Augusto, Giuliano. Di origine longobarda: Ansaldi, Alberti. Di origine musulmana: Mussolini, Amina. Di origine araba: Aida, Nadia. Di origine teutonica: Azzola, Gismondi. Di origine tedesca: Margherita, Rodolfo. Di origine ungherese: Ongaro, Bodel. Di origine spagnola: Almirante, Catalano. Di origine russa orientale: Igor, Ivano. E qui non saremmo troppo lontani dalla realtà se con l’appoggio della psicologia e della psicanalisi affermassimo che dentro di noi vi è l’inconscio di tutta l’umanità dalle origini del mondo al nostro tempo, includiamoci pure il discusso mitico peccato originale. Per cui siamo tutti ricettori e donatori dell’inconscio che emerge dai nostri sogni notturni, dai nostri desideri, dalle nostre frustrazioni, esorcismi, possessioni diaboliche, multi linguaggi, paure, visioni. Al di là della nostra morfologia ossea, cranica, articolazioni, statura, colore della pelle non vi sono fondamenti per distinguere fra razze superiori e razze inferiori.
Nel periodo 1930-40 vi è stata in Europa una recrudescenza del razzismo con l’esaltazione e la difesa della razza bianca per l’avvento del nazifascismo e potremmo affermare che i suoi fondatori e difensori oltre che di inaccettabile animosità hanno dato dimostrazione di crassa ignoranza, pardon di scarsa cultura, di sottocultura, anche se il fenomeno non si è concluso in quel periodo ma permane in parte pure ai nostri giorni. Sull’argomento vale anche la pena di chiederci quale sia stata nel tempo la posizione della chiesa cattolica. Essa ha dato un’interpretazione del Cristianesimo alquanto limitata. A partire da S. Agostino 400 d.C. che fece le seguenti affermazioni; ”chi ama il mondo non conosce Dio… Dio è più intimo all’uomo di quello che l’uomo non sia a se stesso ”. Indubbiamente l’espressione è profonda ed esatta. In effetti è sempre dal cuore dell’uomo che nascono atteggiamenti, azioni oneste o disoneste. Però è stata l’applicazione di questo principio che ha dato avvio a quella scissione fra individuo e società che per secoli fu conseguenza di un insegnamento troppo accentuato nella chiesa stessa. Perché se la destinazione dell’individuo è ultraterrena, l’esigenza dell’uomo sarà quella di prendere le distanze dal mondo stesso. Siccome la patria del Cristianesimo non è di questo mondo, il cristiano fa sì il suo dovere come cittadino, ma lo fa con una certa indifferenza riguardo al buono o cattivo esisto dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da rimproverarsi poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiù. Si trincea nel privato, salva l’anima tua, del vicino non si conosce neppure il nome, si arrischia totale indifferenza nei confronti del diverso, lo straniero, l’emigrato. Scriveva il Talmud (400 d. C,): ”Chi salva una vita salva il mondo”. Cui si può aggiungere: ”chi uccide una vita uccide il mondo” E se è vero quanto sopra detto aggiungasi pure: ”Chi uccide un uomo uccide se stesso. ”E qui c’è spazio alla riflessione: sono uomo e nulla di ciò che appartiene all’uomo mi è alieno, dicevano gli antichi. Nel più profondo del nostro essere il codice umano è uguale per tutti: siamo cittadini del mondo.

Autore
Albino Michelin
Adattamento: ColosseoNews
31.09.2019

Sunday, September 1, 2019

ABUSO PROFANO DEI SIMBOLI RELIGIOSI


  A questo mondo può succedere di tutto. Per esempio in Italia dopo solo un anno di governo del cambiamento firmato da due partiti della coalizione “onestà e legalità” ma sciupati in continui litigi, sgarbi, menzogne, calunnie salta il banco cosicché il presidente Conte il 20 agosto convoca il parlamento e si dimette. Importante è però il suo discorso tutto rivolto verso il leghista Salvini, ministro dell’interno, responsabile di aver voluto la sfiducia e passare ad elezioni anticipate. Il contenuto della reprimenda ha avuto una grande risonanza sia nei media nazionali sia in quelli internazionali con foto e commenti. Conte posa la mano sulla spalla che diventa una botta in testa del “capitano” e inizia con un autentico schiaffo “Caro Matteo. Irresponsabile, ignorante, codardo. Questo non è un governo da spiaggia…il tuo uso di simboli religiosi offende i credenti e la laicità dello stato.” Salvini ascolta come un pugile suonato, una maschera di Zorro con faccia truce di bronzo guarda il matador dal basso in alto, ingobbito e incupito estrae la corona del rosario, sbaciucchia crocefisso e sacra collana mariana davanti al popolo italiano.
Non è qui il compito di parteggiare politicamente con Salvini o meno per le pernacchie di molti che lo definiscono guappo di cartapesta, per il suo affossamento o per un suo ritorno trionfale, quanto piuttosto di fare un’esegesi dei commenti apparsi sulla stampa oltre che i plateali dibattiti tv durante l’anno. Conte lo infila con un “irresponsabile”. Indubbiamente si riferiva alla mancanza di etica professionale. In effetti Salvini su 100 giorni di parlamento si è presentato 11 volte. Il resto a comiziare nelle piazze o nelle spiagge o a farsi i selfi da giramondo. Nei momenti cruciali si dà alla fuga come quando si tratta di spiegare la fine dei 49 milioni di euro fatti sparire dalla lega si autoscredita quando non va in parlamento perché si perde tempo in chiacchere di fantasia. Come nelle commissioni europee dove si sarebbe discusso della ripartizione dei profughi e dove si è presentato una volta su sette, sbattendo i pugni da bullo e meritandosi dal presidente di Bruxelles il titolo di buffone e fannullone. Dimenticando che la politica è fatta di dialogo e collaborazione, non solo competizione e arroganza con la pretesa demagogica di cambiare il mondo a sua immagine e somiglianza. Con la conseguenza di isolare l’Italia a non contare nulla in Europa. Irresponsabile nella questione emigrati, anziché procedere con una legislazione di controllo dell’accoglienza, chiude porte e porti in faccia lasciando affogare centinaia di persone, senza pattuire nessun contatto con i paesi di provenienza. Muoia Sansone con tutti i filistei, importante che i negri non entrino in Italia. Chiede pieni poteri come se fossimo nell’Africa tribale o ritornati ai tempi del nazifascismo.
Conte gli infila poi l’epiteto di “ignorante”. Indubbiamente si riferiva al modo di Salvini di trattare il popolo italiano. Non affatto un popolo sovrano, ma popolo bue, popolino da educare con banalità, istigazioni alla xenofobia e al razzismo. Linguaggio che fa comodo alla pancia della gente, ma nuoce all’intelligenza. Rimbecillisce tre milioni di italiani con il follower e Twitter pianificati dal suo staff con il mentore di turno Luca Morisi, staff che il profeta foraggia con 340 mila euro all’anno usciti dalle tasche degli italiani. Zero intelligenza nei riguardi dell’integrazione dei migranti con suo spot “o si integrano nel nostro ambiente (quale? quello degli evasori, dei furbastri, dei mafiosi?) oppure se ne tornano a casa loro.” Su quel minimo di sale in testa che l’integrazione non va esigita ma va preparata, accompagnata con appropriate iniziative culturali e di relazione. Chiude centri di accoglienza dove sono alloggiati anche scolari stranieri in via di avanzata integrazione e li butta sulla strada a rischio delinquenza, così i cittadini italiani si imbufaliscono ancora di più e ne aumentano la microcriminalità senza dimenticare tutti gli oltraggi da bifolco appioppati nel ventennio precedente: Roma ladrona, senti che puzza da cani arrivano i napoletani, rom feccia delle terra, la pacchia è finita, vengono in Italia gli stranieri per farsi la crociera.
Conte gli infila il terzo epiteto di “codardo”. Ovviamente pensava ad un coniglio che fugge nel momento della resa dei conti. In effetti nel paventare il processo per la nave Diciotti, sequestri di persona, va alla ricerca i consensi e maggioranza parlamentare per sfuggire ad eventuale condanna dopo di aver sfidato tutti con il solito “me ne frego”. Sulla faccenda rapporti con la Russia e alla questua di eventuali rubli non va a chiarire in parlamento. Tanto meno ci va a motivare le ragioni sulla mossa per nulla intelligente di sfiducia al governo e quando vede la mal parata la ritira. Un karakiri, un suicidio. Ignora la favola di Esopo “la rana e il bue”, nella quale il poeta greco (621.C.) racconta della sfida lanciata dall’anfibio al bovino. Voleva superarlo in stazza fisica. Si gonfiò la rana finché scoppiò.
In questo contesto salviniano si arriva all’uso delle immagini sacre e del rosario, e qui Conte gli fa l’ultimo predicozzo. A livello personale ognuno può tenersi le proprie devozioni anche De Gasperi aveva le sue immaginette sacre in tasca, come Scalfaro, come anche Conte devoto di P. Pio. Ma è l’uso che se ne fa. E’ strumentalizzazione della religione approfittarne a scopo di interesse personale o elettorale. Come dopo l’approvazione della legge sicurezza bis del 25.8, dove in sostanza punisce come   criminale chi salva una persona in mare calpestando ogni diritto umano ringrazi la madonna di Medjugorje guardiana dei confini d’Italia per questa protezione del patrio suolo nel giorno del suo compleanno. Da quale calendario salti fuori il compleanno della Vergine è noto solo ai visionari improvvisati dai pieni poteri come il nostro. Un oltraggio alla massa di disgraziati, bambini, donne incinte che si avventurano da paesi lontani nel viaggio della speranza. La devozione mariana è sempre stata associata alla salvezza dei naviganti e dei naufraghi, chiunque essi fossero, come la Madonna di Porto Salvo Reggio Calabria. Dove il manto azzurro di Maria è sempre evocato come un salvagente. Non per nulla una vignetta apparsa sulla rivista Civiltà cattolica presentava la madonna con uno scafandro da sub in piedi su un gommone tra i flutti del mare. Scherza con i fanti e lascia stare i santi. Una sorta di prostituzione caldeggiata pure da qualche settore tradizionalista e ultraconservatore del cattolicesimo nostrano se si pensa che anche Radio Maria. Si è fatta megafono degli spot salviniani l’espressione spesso usata per la circostanza “date a cesare quello che è di cesare e a Dio quello che è di Dio” è stata oggi rovesciata. Si sa che un tempo Dio si sostituiva a Cesare per un comportamento della chiesa che entrava nella politica con le sue croci, crociate, DC, madonne pellegrine. Libero stato in libera chiesa, diceva il lungimirante Cavour. E un cattolico come strombazza di definirsi Salvini fedele ad una tradizione ipocrita, non dovrebbe come ogni cristiano ripetere gli errori della chiesa, ma ritornare al Vangelo di Gesù. L’unico cattolico, cioè universale, che nel Vangelo al capitolo 25 di Matteo dichiara “ero povero e mi avete dato da mangiare, forestiero e mi avete accolto”. Certo un’accoglienza sostenibile, ma non un rifiuto cosi carico di rancore e di odio come professato per un anno abbondante dall’ex ministro dell’interno. Messo all’angolo KO dal presidente del Governo Conte, un bagno di autocritica e di umiltà farà bene anche al nostro Salvini.

Autore: Albino Michelin
Adattamento: ColosseoNews
22.08.2019

Friday, August 30, 2019

FINE DI UN CAVALLO DA CORSA

Potresti essere stato il miglior cavallo da corsa al mondo. Veloce, bello, robusto e così tranquillo che le urla degli spettatori e il battito delle fruste, durante la corsa, sembravano non sfiorare le tue orecchie. Avresti potuto essere senza paura nell’affrontare ostacoli e fossi pieni d’acqua. Avresti potuto far guadagnare centinaia di migliaia di corone al tuo proprietario e a tutti quelli che, riponendo fiducia nelle quote degli allibratori e nelle riviste specializzate, avevano scommesso i loro soldi sulla tua vittoria, assieme alla  breve, meravigliosa gioia del vincitore.
Potresti essere stato inarrestabile, ambizioso e leale, e potresti essere stato amato da fantini, allenatori, allibratori, spettatori, proprietari e commentatori, da tutti loro.
Potresti aver fatto venire le lacrime ad uomini che non piangono mai, e baci e abbracci e accendere in loro una passione che altrimenti non erano in grado di provare.
Ma alla fine, quando hai affrontato tutte le battaglie, le tue caviglie si sono indebolite e il tuo manto ha perso la sua lucentezza, non conta più nulla. Perché se hai venticinque o trenta anni e sei stato impiegato per lungo tempo come cavallo da addestramento, allora ti condanneranno, con molta probabilità, al macello.
Faranno, così come un proprietario di cavalli descrive la procedura, gocciolare del sedativo nel tuo abbeveratoio, sette o otto gocce. Gli altri hanno bisogno di meno, ma tu non sei come gli altri, perché anche se la tua muscolatura si è ridotta, e la tua forza si è attenuata, sei ancora grande, forte e selvaggio.
Ti abbraccieranno ponendo la loro testa contro la tua, ti accarezzeranno il fianco ed il collo, passeranno le loro dita nella tua criniera. Poi ti faranno venire a prendere, probabilmente all'alba, quando il cortile è l’erba sono ancora immersi nella nebbia e tu sei ancora assonnato. Aiuteranno gli uomini a condurti al rimorchio ed a chiudere la porta. Guarderanno a lungo, in silenzio, il rimorchio che lascia il cortile con te.
Non appena l’auto con il rimorchio non sarà più visibile, si girerano. Hanno del lavoro da fare. E tu adesso sei solo.
Non sarà un lungo viaggio, forse venti minuti su una strada di campagna e strade sterrate. Non è un problema per te, sei già stato in questo rimorchio per ore. Ma questa volta è diverso. Alla fine del viaggio, arriverai in una fattoria simile alla tua, ma che non irradia calore bensì brividi di freddo. Apriranno portellone del rimorchio e sarai eccitato e irrequieto, perché non conosci l'ambiente e questo ti ha sempre reso nervoso.
Ti guideranno, alle briglie, fuori dal rimorchio e attraverso un cortile in un edificio piatto dove ti chiuderanno in una gabbia di metallo. Questa gabbia è molto più piccola del tuo box della tua vecchia stalla: puoi muoverti a malapena. Il pavimento è piastrellato e uno scolatoio oltrepassa i box dove sono rinchiusi altri cavalli. Rimarrai in quella gabbia per due o tre giorni, forse quattro. Ci vorrà del tempo prima che arrivi il tuo turno. Giorno dopo giorno molti dei tuoi vicini di gabbia scompariranno e ne verranno aggiunti dei nuovi. Quindi toccherà a te. E quello che sei stato, da quel momento non è più. Sarai dimenticato.

Da un articolo di Marc Bädorf
(traduzione e adattatamento ColosseoNews)
30.08.2019

Sunday, May 12, 2019

OFFERTE RACCOLTE DURANTE LA MESSA: PRECEDENZA ALLA RAZZA BIANCA

Nella chiesa di Mira in provincia di Venezia il parroco Gino Ciccuto la domenica 3 marzo 2019 trova nel cestino delle offerte della messa una busta contenente un obolo con la scritta: “prima i pensionati e gli anziani italiani da sempre, e immigrati stranieri per ultimi”. Il sacerdote ovviamente non ci sta e risponde che queste parole non hanno nulla a che fare con la fede e la vita cristiana e che l’elemosina va destinata prima di tutto ai più poveri senza guardare al colore della pelle e alla provenienza. Il criterio discriminante non è l’italiani ”prima i nostri” ma “la persona”. E bene fece il nostro don a riportare indietro la busta al razzista offerente affinché se la gestisse lui senza strumentalizzare il luogo sacro.  Eh sì, siamo all’elemosina sovranista, suprematista secondo un ultimissimo gergo, del più becero populismo. In questo articolo intendo riferirmi soltanto agli italiani orgoglio cattolico, non agli agnostici, indifferenti, atei. E non perché questi valgano di meno, ma perché non hanno nel loro vangelo il consiglio di Gesù: ”ero straniero e mi avete accolto”. E sottintendiamo pure accoglienza sostenibile.
Tutto questo però ha un nome, un’origine, una persona chiara e precisa che bello sarebbe tacerla per non immortalarla fuori tempo: Matteo Salvini. Conosciamo già le sue espressioni che partono da lontano ”gli stranieri? Sparare sulla carrette del mare, se annegano vuole dire uno, cento di meno, finita la pacchia, vengono qui a farsi le crociere, feccia della società, estirparli con la ruspa” e un’infinità di disumane turpitudini  ipocritamente santificate e benedette con l’agitare nella piazze la Bibbia, la corona del rosario, indossando T-shirt con la scritta ”il mio papa è Benedetto”, (ci mancherebbe citasse Francesco, che esibisce una spilla aprire i porti), con la perorazione sulla famiglia tradizionale (ma beato lui che ha quattro “mogli” : Jeluzzi, Martinelli, Isoardi, Verdini ) e vive da  poligamo musulmano col crocefisso da sbattere in faccia ai musulmani e tutta una serie di oltraggi di cui sono  pieni i giornali , le TV, e le pance nostre. La volpe cambierà pelo ma non il vizio.  E’ lui il missionario dei cattolici cui il presente articolo si rivolge. ”Lui ci porta sui sentieri sicuri”. E’ il salmo 23 che sarebbe riferito a Dio ma che questi nostri riferiscono a Salvini, l’atteso Messia. Caro cattolico, vittima dell’isterismo collettivo sull’invasione degli stranieri, conosci i numeri? Italia abitanti 60 milioni, stranieri 8% (Germania 12%, Svizzera 22%...) Gli irregolari o rifugiati in Italia sono mezzo milione, nemmeno l’1%. Praticamente 3 su mille abitanti (Malta 18 su mille). Gli stranieri in Italia contribuiscono con 6 miliardi di introiti mentre ne consumano 3 per la loro assistenza. Praticamente ci salvano il sistema pensionistico dal collasso. L’emigrazione, caro il mio cattolico, è una risorsa, lo sarà anche di più per il futuro. Dato che i nostri italiani i lavori sporchi non li fanno, i giovani se ne vanno all’estero, e figli non abbiamo voglia di farne anche se ci arrivasse una montagna di sussidi per le famiglie numerose. Ti prego di ampliare l’orizzonte: nel mondo gli emigrati sono 244 milioni, i rifugiati 60 milioni, discendenti italiani nel mondo da 60 milioni in su. In futuro nessuno potrà fermare lo spostamento delle civiltà o costruire muri messicani alla Trump, come non potrà fermare il treno con le mani. Magari non verranno in Italia per lavorare, ma per colonizzarci, come i cinesi che ci stanno sloggiando dai nostri bar, pizzerie e ristoranti, con tanti auguri per le nostre tradizioni, per l’Europa cristiana e per la conservazione della razza bianca come sostiene l’altro collaboratore missionario di Salvini, il xenofobo Fontana, governatore della Lombardia.
 Caro cattolico il nostro nemico e pericolo non è il negro, come ti indottrina il tuo neopastore chiudendo i porti, ma l’Italiano, con la sua mafia, la sua corruzione, la sua evasione fiscale e tutto il corredo di furbate. Ma tu continuerai aggiungendo che con Salvini si è garantita sicurezza e pulizia dai terroristi e dai malintenzionati. Non pare, invece è aumentata la paura e l’astio contro lo straniero. Vedi le mense scolastiche di Lodi negate ai bambini emigrati, le scritte sui muri morte al negar, le umiliazioni da parte degli insegnanti tipo Bocci di Foligno inferte ai due fratellini ganesi ”gira il tavolino scimmia, che nessuno ti veda quanto sei brutto”. Questo clima di disprezzo diffuso e sotterraneo può causare reazione o per emulazione, o per contestazione.  Ad esempio l’autista (solo pazzo?) italo senegalese che il 20.3. stava per incendiare nel milanese un bus di 50 studenti disse di voler vendicare i bambini, le donne incinte, e tanti disgraziati profughi fatti morire in mare. Il tuo missionario, caro cattolico, questo non lo capisce, continua con ciarlatanerie da antropoide, ingigantisce il crimine di un nero nei confronti dei bianchi, tace sullo stesso se compiuto da un italiano, ignora gli atti eroici di volontari missionari (non salvinisti) e laici, come il gruppo deceduto nella catastrofe del Boeing in Somalia il 10 marzo con un altruista dal cuore grande come Paolo Dieci. Ma dal pastore leghista nemmeno un cenno di ammirazione. In Senegal continua a vendere armi per 3 miliardi all’anno, e così i “negri” verranno qui a spararci con le nostre armi. Come bastasse predicare onestà e legalità a scopo elettorale, governo del cambiamento, e ripetere la vecchia politica. Per l’integrazione degli stranieri nessun stanziamento di fondi. Anzi il tuo missionario chiude i centri di accoglienza, così gli emigrati sbandano per le strade, disturbano gli italiani raggiungendo lo scopo di aumentare l’odio contro gli stessi.  Salvini e la lega hanno rubato 50 milioni agli italiani, scansato il processo perché li restituiranno entro 99 anni, padroni a casa nostra. Zero rispetto della propria professione: al parlamento europeo si è presentato solo una volta meritandosi l’epiteto di fannullone, burattinaio del presidente del Consiglio.  Al governo italiano dopo le elezioni del marzo 18 ha presenziato da allora al 2% delle commissioni. Sempre a bighellonare in giro per l’Italia, per raccogliere consensi di partito, indossando svariate divise e felpe carnevalesche per foto con i mafiosi e raccogliere il loro baciamano. Vedi ad Afragola con Chianese, a Milano con gli ultras dell’Inter. Questo è incentivare la malavita, meritandosi così il titolo affibbiatogli da Saviano “Ministro della malavita”. Ovvio che l’Europa non dialogherà mai con un simile arrogante pallonaro per la redistribuzione dei migranti fra i diversi paesi. Anche perché Salvini non si è mai presentato agli incontri sui Trattati di Dublino in vigore dal 15-6-90 per cambiare le normative, se ne frega come bullo che si vanta di battere i pugni sul tavolo e così si sente qualcuno. Con L’Europa ci vuole intelligenza, diplomazia e costanza. Il nostro destinatario cattolico doc dovrebbe sapere che allorquando il missionario si doveva presentare al processo faccenda nave Diciotti per sequestro di persona, aver lasciato in mare bambini in pericolo di vita e aver ignorato tre diritti fondamentali, il diritto del mare, il diritto costituzionale, il diritto umano, con umiliante viltà si andò ad elemosinare voti ai parlamentari per sfuggire 18 anni di galera. Furbata riuscita con la votazione del 27.3.19. Onestà e legalità? Flop. Nulla però potrà innocentare il suo spirito omicida.  Il nostro cattolico dell’orgoglio pro consensite ci obbietterà comunque che il consenso politico di questo leader aumenta sempre di più. Al che una risposta: il consenso numerico non si identifica per nulla con il consenso morale. Un consiglio: cessa di grazia di fare il cattolico e scegli di diventare cristiano. Per eventuali conforti intellettuali in materia ti sarà utile il libro di Don Ciotti ”Lettera ad un razzista del terzo millennio “. E buona lettura.

Autore: Albino Michelin
Adattamento: ColosseoNews
08.05.2019

Tuesday, May 7, 2019

IL GRANDE TORINO

Il 4 maggio 1949 è stato funestato da una tremenda sciagura per lo sport italiano. L‘aereo che riporta a casa la squadra di calcio del Torino, reduce da Lisbona dove aveva giocato una partita amichevole,  precipita e si incendia sulla collina di Superga. Tutti i 18 giocatori, i dirigenti e tre giornalisti perdono la vita.
I sentimenti di sgomento, dolore, tristezza che si diffusero in tutta Italia, quando la radio dette la notizia, sono rimasti impressi indelebili nella coscienza collettiva del paese.
Sul sito di LazioWiki ho letto l’articolo scritto da Indro Montanelli sulla tragedia di Superga. Lo riporto sul mio Blog perché rende mirabilmente omaggio, a distanza di 70 anni, al GRANDE TORINO. L’articolo evidenzia inoltre la magia del calcio che riesce, quando si è giovani e anche dopo quando si è avanti nell’età, a far sognare i suoi appassionati.



Articolo di Indro Montanelli sulla tragedia di Superga del 4 maggio 1949
Oggi, affacciandomi alla finestra, non ho visto giocare a calcio i ragazzini in piazza San Marco, sulla quale guarda la mia casa, tra i resti delle bancarelle che vi tengono mercato il lunedì e il giovedì. In genere, ce n'è una nuvolaglia, affaccendati a correre dietro palle, di tutte le categorie e di tutte le età: scolari delle scuole medie con la cartella dei libri abbandonata in un angolo e le dita macchiate d'inchiostro, garzoni di fabbro con la tuta sudicia di morchia, apprendisti parrucchieri con la chioma lustra di brillantina. Li conosco tutti dai nomi di battaglia che si son dati: "Mazzola" è un tracagnotto biondastro dalla faccia larga e ridente; "Gabetto" un bruno esile e nervoso che ha la specialità di non scomporsi i capelli nemmeno nelle fasi più focose del giuoco; "Bacigalupo" è quello che, in genere, difende la porta, sorprendentemente agile per la sua rotonda corporatura; eppoi "Castigliano", "Menti", "Loik", "Ballarin", "Maroso", e cosi via.
Ci sono, ci sono stati tutti i giorni, in piazza San Marco, a giuocare: non so da quando, forse da sempre. Si allenano per la grande partita della domenica, quando si mettono in maglia e mutandine, e allora, ai margini, si raccoglie anche il pubblico dei passanti a guardare. In una di queste partite, uno di essi che si chiamava "Grézar", fu degradato sul campo: cioè i compagni gli tolsero quel nome, e gliene diedero un altro, più modesto. Oggi la degradazione è stata generale. Sparpagliati a gruppetti, ai quattro angoli della brulla piazza, a semicerchio intorno a uno che leggeva un giornale sgualcito, i ragazzini di San Marco avevano ripreso ognuno il proprio nome di tutti i giorni, quello col quale il maestro, a scuola, li chiama a recitare la poesia di Aleardi e il padrone della bottega li iscrive nel sindacato dei "praticanti". E così "Mazzola" non era più che Dubini Mario, alunno della "quarta B". Era lui che leggeva il giornale ai compagni, sedutigli attorno in semicerchio, e ogni tanto approfittava della ciocca di capelli che gli scendeva sulla fronte per ritirarsela su, e passarsi, intanto, la mano sugli occhi.
I suoi compagni più piccoli quelli che, in genere, venivano adibiti, nelle partite della domenica, a raccogliere le palle che uscivano in "fallo laterale" (quante volte ho rabbrividito, alla finestra, vedendoli guizzare fra un tram e un'automobile!) e che aspiravano a diventare, a loro volta, Loik, Gabetto, Bacigalupo e Maroso, stendevano, a una a una, per terra, come un generale distende la sua truppa, le figurine dei popolari giocatori, di cui ognuno di essi è, più o meno, ricco collezionista. C'era un po' di vento, e il pulviscolo di rena, che esso trascinava nella sua corsa, ogni tanto ricopriva una di quelle figurine, minacciando di sotterrarla; ma subito il collezionista la spazzava via, passando col dorso della mano una lieve carezza sul cartoncino e poi soffiandoci sopra, puntualmente. Sono ancora gli unici, i ragazzini di piazza San Marco e di tutta Italia che si ostinano a lottare contro i tentativi della rena di inghiottire i loro diciotto eroi. E le figurine che li rappresentano nell'atto di calciare la palla o di ghermirla al volo, continuano ad essere oggetto di un affettuoso e reverente mercato, seguitano a passare di mano in mano, come vivificati per l'eternità dalla rispettosa ammirazione che suscitano nei loro giovani emuli.

Per la partita del 22 maggio con l'Austria, se si farà, il collega Carosio, miracolosamente scampato al disastro, dovrebbe fare, per i ragazzi di tutta Italia, una trasmissione speciale, ribattezzando col nome degli scomparsi i loro sostituti. - Mazzola passa a Menti; Menti indietro a Castigliano...- dovrebbe egli dire al microfono; chè almeno ai ragazzi non sia tolta l'illusione dell'immortalità. Sono appena cinque giorni che li abbiamo visti giuocare l'ultima volta, qui a Milano …. E già domani l'erba comincerà a crescere sulla tomba di quei diciotto giovani atleti che sembravano simboleggiare una omerica, eterna, miracolosa giovinezza. Come possono rendersene conto i ragazzi di piazza San Marco e i giovani di tutta Italia?
Gli eroi sono sempre stati immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno i ragazzi, che il "Torino" non è morto: è soltanto "in trasferta". Ma anche a noi, che con animo di ragazzi abbiamo sempre frequentato e seguitiamo a frequentare gli stadi, sia consentito immaginare i diciotto atleti del "Torino", "in trasferta". Oh, non ci è difficile raffigurarci il grande campo che, lassù, li attende: senza limitazione di posti, lastricato di erba eternamente verde e molle, senza macchie di nuda terra. La squadra campione, con tutto il suo orgoglio di bandiera, ha voluto recarvisi a carico pieno: non solo gli undici "titolari" ha condotto con sè; ma anche sette "riserve", e l'allenatore, e il massaggiatore, e il direttore tecnico, e perfino tre giornalisti.
Sul grande campo di lassù ci sono vecchie conoscenze ad attenderli. In prima fila Emilio Colombo, l'Omero dello sport italiano, forse l'unico tra noi che abbia serbato, sino a sessant'anni, intatta, la facoltà di credere nell'immortalità degli eroi. Accanto si tiene, in un gesto di affettuosa protezione, Attilio Ferraris che di poco lo precedette. Ferraris è ancora in "maglietta", perchè in maglietta partì per la grande "trasferta", come Caligaris, mi sembra. Essi non rientrarono, infatti, negli spogliatoi, dopo l'ultima partita casalinga: dallo stadio di quaggiù a quello di lassù, tutto d'un fiato. E Neri? Eccolo lì, col suo lungo naso. Quella del "Torino" fu proprio l'ultima sua maglia, e non l'abbandonò che per ammantarsi di tricolore, dopo che i Tedeschi l'ebbero fucilato su una collina di Romagna. Ma ora rientrerà in squadra con i compagni; sarà il diciannovesimo campione d‘Italia in quest'ultima definitiva "trasferta".

Ascoltate, ragazzi di San Marco e di tutta Italia, ascoltate la radiotrasmissione di Emilio Colombo, che ha ricevuto dalle mani di Carosio, per oggi, il microfono …. "Mazzola passa a Menti, Menti indietro a Castigliano... (e qui la voce si fa concitata, e i ragazzi di San Marco e di tutta Italia si stringono, con gli occhi dilatati dall'emozione e dalla speranza, intorno all'altoparlante)... Castigliano avanti di nuovo a Mazzola che dribbla uno... due... tre avv... goal... goal... ".
Chi grida cosi, chi grida? Siete voi stessi, ragazzi, o il vecchio Colombo, l'unico tra noi che sia riuscito a serbare, intatta, sino a sessanta anni, la facoltà di credere negli eroi? O tutta la folla di quell'immenso stadio senza limitazione di posti in cui il "Torino" è andato a carico pieno (undici "titolari" e sette "riserve") a giuocare la sua ultima vittoriosa "trasferta"?
Triste è piazza San Marco, calva di alberi, con le sue gialle chiazze di terra senz'erba, con i suoi gruppetti di ragazzi spogliati dei loro nomi di battaglia e senza palla, solo con le figurine allineate tra le pozzanghere. Le due squadre che vi giuocheranno domenica hanno deciso di portare il lutto: un segno nero al braccio, sulla maglia. I passanti si fermeranno, come sempre, a guardare; ma invano tenderanno l'orecchio per udire: - Forza Maroso... bravo, Bacigalupo... - nelle fasi salienti della partita. Domenica i giuocatori si chiameranno soltanto Dubini Mario, Rossi Francesco, Bianchi Giuseppe, e giuocheranno in silenzio, senza apostrofarsi. Domenica, otto giorni soli saranno trascorsi dall'ultima partita a San Siro dove il "Torino", solo a furia di orgoglio, si ricucì sul petto il quinto scudetto che inalienabilmente gli spetta (e voglio veder chi oserà portarglielo via) ma già i primi esili fili di erba saran cresciuti sulle diciotto tombe della squadra in "trasferta". "Forza Torino!", "Vinci Torino!".

sintesi a cura di ColosseoNews
05 maggio 2019