Tuesday, December 26, 2017

IL TRAMONTO DI UN MITO

Un uomo nasce in una parte della superficie della terra. La sua vita corporale si chiude bruscamente con la condanna capitale. Ma la vita delle sue opere, delle sue parole, continua, si amplia, diventa milioni e milioni di vite, imprime del suo sugello secoli di storia. L’uomo è diventato un mito, è diventato una parte della coscienza universale: ha conquistato l’immortalità, quella immortalità che solo i laici ammettono, ed è il perpetuarsi di una alta parola, di un esempio sublime di vita morale nel mondo, nelle coscienze degli uomini che sono nati dopo e ancora nasceranno nel mondo.

Una civiltà nuova si chiama dal nome di quell’uomo. La civiltà nuova era una necessità storica, era contenuta potenzialmente nella precedente civiltà, ma quell’uomo ha trovato, ha saputo esprimere con parole immortali quella necessità e pertanto ne ha aiutato la nascita e la diffusione. Ha lanciato nel mondo greco-romano una idea-forza: la differenza di sangue, di razza non è causa di disuguaglianza tra gli uomini: gli uomini sono eguali. Perché figli di uno stesso padre, perché macchiati di una stessa colpa, perché costretti ad un’eguale necessità di purificazione per il raggiungimento di una vita che è la vera vita, e non è di questo mondo.

Milioni di uomini, che prima si credevano essi stessi inferiori, hanno sentito l’uguaglianza. Questi milioni di uomini hanno incominciato a riflettere sulla propria natura, sulla propria coscienza. La formula della loro redenzione era venuta da un uomo, morto in un certo luogo per aver affermato quel principio. Gli uomini hanno semplicemente, ingenuamente identificato la loro coscienza con quell’uomo, con quel luogo. Hanno materializzato un fenomeno che era solamente ideale.

Per quell’uomo, per quel luogo, si sono ammazzati a vicenda, hanno sopportato sacrifici, hanno acceso roghi, hanno inventato torture. Ma il mito, la materializzazione dell’idea, andò sempre più purificandosi delle scorie mortali e contingenti. Altri uomini si sacrificarono. Essi affermavano che era la coscienza umana stessa che si era liberata, che, avendo riconosciuto se stessa e l’energia propria, aveva rotto i ceppi e le catene.

L’uomo che era stato deificato, che aveva assunto una grandezza fittizia e artificiosa, ritornò semplicemente uomo, assertore di verità, propagatore di verità, martire della verità. Il testimonio della divinità diventò testimonio di umanità, di migliore, più perfetta umanità. E il fine che gli uomini propongono alla loro attività andò sempre meglio fissandosi e non fu più un fine ultraterreno, un’altra vita, ma fu anch’esso umanizzato, modernizzato. E l’immortalità da raggiungere fu l’immortalità terrena anch’essa, in quanto gli uomini si accorsero che essi continuerebbero a vivere nelle coscienze, nel ricordo dei loro successori in quanto per questi successori avessero lavorato, migliorando il presente perché ancor migliore fosse l’avvenire.

Così il mito andò dissolvendosi. La luce che un tempo sembrò agli uomini che irradiasse da un sepolcro da Gerusalemme, gli uomini s’accorsero che invece irradiava dalle loro coscienze, dalla loro volontà, dalle loro stesse opere.

 Antonio Gramsci
22 dicembre 1917

Cento anni dopo
Sintesi di Sandro
22 dicembre 2017

Thursday, December 14, 2017

QUANTE COSE BELLISSIME CI DICEMMO

«Quante, quante cose bellissime ci dicemmo!
Eppure nessuna parola, concernente il nostro animo fu pronunciata.
Celavamo dietro alle interrogazioni futili e sciocche la nostra vera commozione.
- Come hai messo sul capo le camelie?
- Dio, come è lungo questo velo! …
Ella stava seduta sul mio letto: pallida un poco, con la testa bruna macchiata di petali vellutati e aureolata di vaporosità. Un braccio era piegato fino a stringere contro il suo petto il mazzo di fiori nivei di sposa.
Non lo sapeva, di essere meravigliosa! …
Prima di andar via, mi volle baciare a tutti i costi sulle gote brucianti, poi mi offrì un piccolo tralcio dei suoi fiori.
Era una visione.
Non potevo credere a lei, così bianca e così perfetta, così grande, anche nel suo atto bellissimo.
Non aveva creduto, mi disse subito, alla mia volontaria mancanza. Non aveva potuto crederci.
Solo me, quasi, aspettava.
Solo me perché più degli altri potevo capire la sua felicità, la solennità di quell’atto divino.
Ma questo lei non lo disse, lo lessi dalle sue stellate pupille, dal tremore delle sue labbra, dalla mano perfetta che voleva impedire ad ogni costo, con un gesto affettuoso, la gioia fluida che sgorgava dai miei occhi.
Parlammo poco, come due creature unite con dei vincoli tenaci e misteriosi, noi abbiamo parlato tacendo.
Tienili, ti porteranno fortuna …
E andò via senza sorridere. Ed io come sempre compresi la sua grande bontà: aveva paura forse di sembrare troppo egoisticamente felice, e di adombrare così, proprio senza volerlo, la mia giovinezza».


Autore Ignoto
dai ricordi di Elena Bonanni
a cura di Sandro

Monday, October 23, 2017

CANTICO DI UN ANZIANO


Benedetti quelli che mi guardano con simpatia
Benedetti quelli che comprendono il mio camminare stanco
Benedetti quelli che parlano a voce alta per minimizzare la mia sordità
Benedetti quelli che stringono con calore le mie mani tremanti
Benedetti quelli che si interessano della mia lontana giovinezza
Benedetti quelli che non si stancano di ascoltare
i miei discorsi tante volte ripetuti
Benedetti quelli che comprendono il mio bisogno di affetto
Benedetti quelli che mi regalano frammenti del loro tempo
Benedetti quelli che si ricordano della mia solitudine
Benedetti quelli che mi sono vicini nella sofferenza

Beati quelli che rallegrano gli ultimi giorni della mia vita
Beati quelli che mi sono vicini al momento del passaggio

Quando entrerò nella vita senza fine mi ricorderò
di loro presso il Signore Gesù.


Esposto al reparto Medicina dell’ospedale
Sandro Pertini di Roma
Ottobre 2017

Wednesday, September 20, 2017

HANS KÜNG SCELTA DI FINE VITA E FEDE

Hans Küng (Sursee, 1928) è un teologo e saggista svizzero di fama mondiale.
Oltre ad essersi dedicato allo studio della storia delle religioni, in particolare quelle abramitiche, Küng è noto internazionalmente soprattutto per le sue posizioni in campo teologico (rifiuta il dogma dell'infallibilità papale) e morale, spesso critiche verso la dottrina della Chiesa cattolica. Sebbene nel 1979 sia stato costretto a lasciare la facoltà cattolica, ha continuato a lavorare come professore emerito di teologia ecumenica all'Università di Tubinga. Nel 1993 ha creato la Fondazione Weltethos (Etica mondiale), impegnata a sviluppare e rinforzare la cooperazione tra le religioni mediante il riconoscimento dei valori comuni e a disegnare un codice di regole di comportamento universalmente condivise.

Nel dibattito sul diritto ad una morte affidata alle proprie responsabilità, di essere liberi di morire in maniera dignitosa e interrompere sofferenze fisiche e psichiche dovute a una malattia incurabile, Hans Küng ha reso pubblica la sua posizione. Ciò è importante perché proviene da uno dei massimi esponenti della teologia cristiana del nostro tempo che si trova, confrontato con la fine della vita.

Ancora una volta Hans Küng entra in conflitto con il Vaticano che non riconosce il diritto dell’autodeterminazione per chi sceglie di porre fine alla propria vita. Hans Küng sostiene che la la „Chiesa Gerarchica“ dovrebbe cambiare il suo atteggiamento sul tema tenendo presente che la „Chiesa dei fedeli“, secondo un censimento in Germania, ritiene al 77 percento che il diritto alle varie forme di scelta di fine vita debba essere riconosciuto.

A fine 2013 la giornalista Anne Will ha intervistato Hans Küng che a quel tempo aveva 85 anni ed era afflitto dal Parkinson ed altri disturbi di salute che lo condizionavano. Nell‘intervista Hans Küng sostiene il diritto di decidere il momento ed il modo di porre fine alla propria vita.

Si riportano alcuni passi dell’intervista:

 „Io desidero morire quando sono ancora me stesso, un uomo nella sua integrità, non un essere ridotto ad una esistenza vegetativa“

„Ci è stata data la responsabilità per la nostra vita. Perché questa responsabilità dovrebbe venire a mancare nella fase ultima della vita?“

„Segni iniziali di demenza sarebbero per me una chiara indicazione a cui far seguire passi concreti per porre fine attivamente alla mia vita“.

„La mia convinzione si basa sulla mia fede, poiché io non credo che la mia vita finirà nel nulla. Io posso capire la paura delle persone che non credono nella vita eterna e si sentono confrontate con il nulla. Ma io sono convinto che la mia morte non mi porterà nel nulla bensì in un‘ultima realtà primaria. Che il mio essere si ritroverà nella realtà suprema ed in essa troverà una nuova vita. Questo è ciò in cui io credo“.

Per l‘argomento trattato nell’articolo ritengo utile riportare alcune considerazioni di Salvatore Natoli.
docente e filosofo italiano, professore di filosofia teoretica.

Nel suo libro „Dizionario dei vizi e delle virtù“ nel paragrafo „Davanti la morte“ distingue l’esperienza con la morte di uomini caratterizzati da diverse convinzioni e destini.

„Certo, diversa è l’esperienza se la morte la si vive entro la certezza della resurrezione o entro la sicurezza della fine. E, tuttavia, in ambedue i casi, la morte può essere alta. Il credente è colui che nella morte si affida. Si affida come ha sempre fatto nella vita: in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Il cristiano nella morte si affida a un Dio che salva: ma c’è dell’altro: il cristiano, morendo, non abbandona coloro che lascia. Semplicemente li precede nella gloria. Come Gesù“.

Questa considerazione è in sintonia con quanto precedentemente citato da Hans Küng.

“Certo non muore così chi è convinto che i morti muoiano per sempre. Eppure in questo caso è possibile una bella morte. Per chi non si ritiene immortale, morire bene significa portare a compimento al meglio la propria vita. Il sapere morire in questo caso si disegna come il compito estremo dell’arte del ben vivere. Se chi muore è stato capace di inventarsi al meglio la propria vita, se è riuscito ad assegnare a essa meta e destino, se la sorte non gli è stata particolarmente avversa, se così si configura la sua condizione estrema, ebbene, egli potrà vivere la propria morte come il perfetto compimento di sé, a cui non c’è nulla da aggiungere, ove appaiono ridondanti e inopportune le ragioni dell’oltre. L’immortalità è di troppo: vita lunga, non vita eterna”.

“Se al contrario il dolore ha reso faticosa l’esistenza, ha spossato il corpo, ha frantumato i sogni, lasciati inevasi i desideri, per tutto ciò non è possibile risarcimento. In questo caso la morte giunge come salvezza, è essa non altro che liberazione. Innanzi a tutto ciò una medicina rispettosa dovrebbe silenziosamente ritirarsi, non intervenire, lasciare accadere”.

Sono perfettamente d’accordo con H.Küng, come lui ritengo giusto, morale e cristiano poter essere responsabile della propria vita fino alla fine.

Riferimenti:
Libri:
„Glücklich sterben? Hans Küng im Gespräch mit Anne Will“ Piper Verlag
„Dizionario dei vizi e delle virtù“ Feltrinelli/Saggi
Youtube:
„Vom Glueck des Widerspruchs - Anne Will im Gespräch mit Hans Küng“

Autore: Sandro
Zurigo 20.09.2017

Tuesday, September 19, 2017

RESTO CRISTIANO ANCHE SE SCELGO COME MORIRE

É la dichiarazione di Hans Küng, uno dei maggiori teologi viventi dell’ultimo cinquantennio. Nato nel 1928, vive in Svizzera a Lucerna. Sull’argomento in questione non ha molta importanza che egli sia stato esonerato dall’insegnamento nelle cattedre cattoliche per le sue idee, che pure hanno fatto da supporto all’impianto del Concilio Ecumenico 1962-65. Perché di fronte alla tua morte a come la senti e la vivi non ti sono di sostegno i tuoi ammiratori e fans né di ostacolo i tuoi detrattori e avversari. Sei solo, tu, la tua coscienza e Dio, nel caso abbia vissuto con lui un rapporto costante.
Fra le sue innumerevoli pubblicazioni l’ultima risale all’ottobre 2014 dal titolo ”Morire felici?”. Egli non parte a descrivere la morte in sé, o quella degli altri, dal testamento biologico o dall’eutanasia come realtà a me estranea, ma come esperienza personale, che vive con me, e mi accompagna sino all’ultimo passo. A leggerlo ti fa invidia, in quanto per la maggioranza di noi la morte non ci appartiene, è un tabù. Invece H. Küng afferma: ”resto cristiano anche se scelgo come morire”.
 Egli continua con coerenza sino alla fine a professare la prima delle quattro norme immutabili dell’etica mondiale, analizzate in un altro suo libro, quella sul dovere di una cultura del rispetto per ogni vita, proclamata dal Parlamento delle religioni mondiali nel 1993: non uccidere, o in forma positiva: rispetta ogni vita. Ogni uomo ha il diritto alla vita, all’integrità fisica e al libero sviluppo della personalità nella misura in cui non lede i diritti altrui. Nessun uomo ha il diritto di tormentare fisicamente o psichicamente o di uccidere un suo simile. Tuttavia proprio perché la persona umana è infinitamente preziosa e va protetta sino alla fine occorre riflettere attentamente sul significato di queste parole nell’epoca della medicina tecnologicamente avanzata, in grado di provocare la morte in un modo per lo più indolore ma in molti casi anche di protrarla in misura considerevole.

Afferma Küng: “L’idea di concludere la mia vita in pace ed in armonia trae ispirazione dalla Bibbia. Come cristiano e come cattolico per me è determinante la Bibbia, mentre la chiesa dovrebbe avere il massimo rispetto di non entrare in merito e condannare come suicido o escludere dai funerali religiosi chi compie questa scelta. La vita è sacra, ma anche la qualità della vita lo è, e molto più sacra ancora è la modalità di morire.”
 
L’ars moriendi, l’arte del morire è un argomento che affascina questo teologo fin dagli anni 50 quando suo fratello Georg soffrì per mesi di   tumore inguaribile al cervello. Si è imposto ancor di più alla sua attenzione da quando a partire dal 2005 un suo caro collega e amico ha iniziato non ostante le migliori cure a vegetare nella nebbia della demenza fino a spegnersi nel 2013. Queste esperienze hanno rafforzato le sua convinzione: ”non voglio morire così”. Nello stesso tempo tuttavia gli hanno dimostrato quanto sia difficile cogliere il momento giusto per una morte affidata alle proprie responsabilità.

Scrive: ”l’intenzione di non protrarre a tempo indeterminato la mia esistenza terrena è un caposaldo della mia arte di vivere e parte integrante della mia fede nella vita eterna. Quando arriva il momento, qualora ne sia ancora in grado di scegliere con la mia responsabilità, difendo il diritto a quando e a come morire. Se mi venisse concesso vorrei spegnermi in modo consapevole e dire addio ai miei cari con dignità”.

Il che non significa morire senza malinconia e senza dolore bensì andarsene consapevolmente accompagnati da una profonda soddisfazione e dalla pace interiore. Del resto è questo il significato della parola eu-thanasia, entrata in molte lingue moderne, ma storpiate vergognosamente dai nazisti in morte felice, buona, giusta, lieve, bella. Questa eutanasia non ha nulla a vedere con l’auto assassinio arbitrario pianificato per provocare l’autorità ecclesiastica, come lo accusano alcuni sui media e con lettere personali. Evidentemente alcuni suoi rappresentanti non hanno ancora capito che anche la nostra visione dell’inizio-fine vita si trova al centro di un paradigma epocale, che non si può penetrare e dominare con l’immaginario e la terminologia della teologia medievale. Oggi è necessario prendere in considerazione il notevole prolungamento della vita consentito dal progresso prima impensabile della medicina moderna, ma bisogna tenere conto anche delle idee successive che sottolineano i limiti di una medicina basata su argomenti e criteri esclusivi delle scienze naturali e della tecnica. E’ aumentata la percezione della necessità di dare un fondamento etico a una medicina globale che tuteli l’umanità del paziente. Anche nella chiesa cattolica esiste, sin dall’insediamento di Papa Francesco, la speranza di una maggiore franchezza e di un aiuto caritatevole in questioni, come risaputo, assai complesse.
Queste le posizioni del grande teologo H. Küng nei confronti della morte che si può giudicare correttamente solo se si conosce il suo interesse costante per gli argomenti dell’esistenza espressi in una molteplice serie di pubblicazioni che ci rivelano le sue grandi passioni: la questione di Dio, l’essere cristiani, la vita eterna, la chiesa, l’ecumenismo, le religioni mondiali, l’etica globale.

Autore: Albino Michelin
A cura di ColosseoNews

Friday, September 15, 2017

RITA ATRIA: LA VERITÀ VIVE

Partanna, paese di 12 mila abitanti all’incirca in provincia di Trapani, posto in collina fra la valle del Belice e il mare, è famoso in tutta Italia e anche nel mondo per le sue cantine vinicole e i suoi oleifici di pregiata esportazione. Miracolato e benedetto se nemmeno il terremoto ce l'ha fatta a buttarlo giù in quella notte di gennaio 1968. Bello a visitarsi con i suoi gioielli barocchi racchiusi dentro le mura del castello normanno. Ma anche lì i figli di padri zappatori sono tutti a spasso, benché tutti intellettuali e professori.

A Partanna ci ero capitato per caso venerdì 31 luglio 1992 e mi ero soffermato più del previsto per assistere ad un funerale. Non ne sapevo nulla, chiesi informazioni. Si trattava di Rita Atria, suicidatasi a Roma, gettandosi dal settimo piano del Palazzone di Via Amelia 23. La bara non fu portata in chiesa, la cerimonia venne celebrata al cimitero, non c'era la banda a suonare l'Ave Maria di Schubert come da Rita desiderato nel suo diario, poca gente, atmosfera pesante e diffidente. Don Calogero Russo, parroco della matrice, officiante di turno, sbanda, si dilunga a parlare sul suicidio, un grave peccato, aggiungendovi poi considerazioni fuori luogo sulle depressioni della ragazza, a tal punto che un gruppo rappresentativo di 12 donne del digiuno provenienti da Palermo interruppero il predicatore gridando: "Rita non ha peccato, Rita ha parlato".
Due settimane più tardi lo stesso sacerdote fece circolare un foglio ciclostilato con furibonda arringa contro la stampa che aveva infangato il buon nome di Partanna e contro i giornalisti, un centinaio presenti al commiato funebre, colpevoli di aver esportato in tutto il mondo un immagine negativa del paese. Anche quest'anno 2004 ci sono ritornato, ho visitato la tomba di Rita, sulla sua lapide una semplice pietra di marmo assai eloquente, baciata dal vento del Sud: "La verità vive". Di fronte a messaggi del genere e conoscendo la storia del tanto sangue sparso e degli eroismi compiuti, non si può che mettersi in ginocchio e pregare perché a Partanna e in tutto il mondo l'odio e i segni di morte possano essere sconfitti.
   Rita per 17 anni mangia pane vendetta
Era nata in Via Pergole 24 nel 1974, in una famiglia coinvolta fino al collo nelle cosche mafiose. I muri della sua casa erano da sempre tappezzati di foto di gente d'onore e di picciotti. All'età di 11 anni le portarono a casa il padre (Don) Vito crivellato da colpi di mitraglietta, e sei anni più tardi il 24.6.91 la stessa sorte toccò al fratello Nicola, freddato davanti alla sua Pizzeria Europa nel paese di Montevago, 14 km di distanza. La moglie di questi, Piera Aiello, decise di collaborare con la giustizia e passò dunque dall'altra parte, saltò il fosso. Rita maturò la stessa scelta. Era stanca di assistere ad un viavai in casa sua in cui altro non si parlava se non di codici d’ onore. Regola d'oro, fra padrini o fotti o sei fottuto, un uomo d'onore non esce di scena. O resta nel giro di quelli che contano o crepa. Primo comandamento del sottobosco mafioso: essere uomini, non ominicchi o “quaqquaraqua". Rita non sopportava più di essere prigioniera di questo giro dei "malacarne". Ragazza dalla testa dura e coraggiosa esce di casa e a 17 anni si iscrive all'Istituto Alberghiero di Sciacca, vuole cambiare vita. Entra in collisione con la madre, donna che Rita scriverà non volerla vedere nemmeno ai suoi funerali perché rinnega gli affetti familiari per quelli mafiosi. Donna che appunto, perché fedele più al codice d'onore che a quello materno, rinfaccia alla figlia che non avrebbe nemmeno dovuto venire al mondo, che l'aborto non è riuscito perché il padre si è interposto, che non deve immischiarsi di nulla, non deve dire fesserie, non fare la spiona.
Rita è una ragazza orgogliosa ma coraggiosa, travagliata fra il nuovo e il vecchio, al bivio fra la tradizione di omertà e la voglia di cambiare, non si arrende. All'inizio di novembre del 91 si presenta alla pretura di Sciacca, decide di parlare e di collaborare essa pure come la cognata Piera con la Giustizia. Denuncia tutto quello che aveva sentito all'interno della sua famiglia protetta e prediletta dai padrini locali. Elenca i nomi di uno ad uno di tutti i picciotti, mandati, mandanti, commissionati e committenti. Salta fuori tutto e di più: Partanna, città mattatoio fra il 79 e il 91, una ventina di persone, rimaste sul selciato, una faida che coinvolgeva le famiglie più insospettate. Mezzo paese messo agli arresti, posto in manette, girato in galera. Rita passa sotto la protezione del Giudice Paolo Borsellino, il quale per garantirle l'incolumità personale la consiglia di trasferirsi a Roma, come di fatto avvenne alla fine di novembre del 1991. Di lì, insieme con la cognata Piera, poté scrivere anche il suo diario che è un messaggio.
 "Come è bello essere fuori dal caos di Partanna, un paese di vedove e di orfani come me, come è bello essere puliti, sentire che non devi dire bugie. Non ce l'ho con i partannesi, ma con le vedove che non vogliono parlare. La Sicilia è un paese che muore".
In un'altra pagina del suo diario 14 marzo 92 scrive:
"L'unica speranza è non arrendersi mai. L'unico modo per cambiare è rendere coscienti i ragazzi perduti nella mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici. Se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo".
Ma, come noto, il 19.7.92 il giudice Borsellino del Pool antimafia viene assassinato. Ecco le ultime righe di Rita: "Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi. .. ". Poi la fine di Rita, anni 18. Morta non di solitudine, ma di mafia.
   Rita, eroina inutile?
Nel maggio 2004 in occasione del 12° anniversario della strage di Capaci (uccisione di Falcone) l'Università di Palermo ha distribuito un'inchiesta fra 135 ragazzi. Risultati devastanti: Falcone, Borsellino, ecc. eroi inutili perché si sono fatti ammazzare. Meglio farsi gli affari propri che denunciare a uno sbirro ... Chi denuncia a uno sbirro è uno spione perché si schiera con le autorità e ne diventa complice ... Chi vuole immolarsi, per gli altri è un eroe stupido ... "Cu joca sulu, nun perde mai" (Chi gioca solo non perde mai). Desolante, ma c'è di più: alcuni membri del clero trapanese a fine luglio dissero: Rita è un caso gonfiato, è una romanzata sostenuta da alcune "cornacchie" di Palermo (donne antimafia). Probabilmente non è nemmeno morta, al cimitero al posto suo potrebbe esserci chissà chi...  "Bella sta chiesa siciliana, molto loquace e dalla parlantina facile". Proprio alla scuola del Cardinal Ruffini che negli anni 70 sosteneva che un mafioso vale più di 100 comunisti. Quello frequenta la chiesa ai primi banchi, questi la vogliono distruggere. Sullo stesso tono mi raccomandarono alcuni ben noti esponenti del paese: “stia cauto a scrivere su Rita Atria. E' una povera ragazzina montata eroina".

In tanta notte però la piccola luce di Rita brilla ancora. In effetti la piazza di Partanna prima Vittoria, poi Garibaldi, ora è dedicata a Rita Atria. Anche quest'anno a Roma in Via Amelia 23 il Gruppo di Don Ciotti e altri movimenti il 26 luglio si riunirono per una celebrazione ed un impegno, così pure sulla sua tomba di Partanna le donne "del digiuno" di Palermo. Segno che c'è gente a distanza di anni che non si arrende all'impotenza, alla logica mafiosa, alla sopraffazione, all'onorata società, all'illegalità. Un'opinione alla chiesa siciliana? Non ci sono soltanto i martiri per la fede cristiana e per Gesù Cristo da festeggiare e nelle feste patronali da esaltare a suon di cannonate e fuochi d'artificio. Vi sono anche i martiri per la libertà e la dignità di tutti gli uomini. Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Mattarella, Livatino, Vitale, La Torre, Rita Atria, voi siete i martiri del mondo nuovo, anche se nessuno vi metterà sugli altari. Dai Rita, anche tu, non mollare, stellina di Partanna, gridalo sempre a tutti: "La verità vive!".

Autore: Albino Michelin
a cura di ColosseoNews

Thursday, August 10, 2017

REGOLA AUREA

Nel libro di Tobia si legge: „Non fare a nessuno ciò che non piace a te“ (Tb. 4,15). È una variante della nota formula: „non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te“. Quest’idea la si ritrova più o meno in tutte le religioni e morali. Era ben nota e diffusa in tutta l’antichità e nello stesso giudaesimo. È una formula di giustizia, e insieme d’ugualianza. Essa è, infatti, costruita secondo una regola di simmetria e di reciprocità. Questa regola, però è caratterizzata anche da una formulazione negativa. Infatti la regola esprime un divieto: „non fare“.

La formula del divieto „non fare“ assume dunque come principio razionale universale che nessun uomo ama essere danneggiato da un altro. Dal momento che io non desidero che qualcuno mi nuoccia sarò giusto se non danneggerò gli altri. Ma la regola così interpretata si presenta imperfetta: è infatti evidente che io posso sentirmi danneggiato da un atto che l’altro non ritiene sia dannoso per lui. Per converso è possibile che l’altro ritenga dannoso quel che per me non lo sarebbe affatto. A questo punto salta la simmetria e così pure la concretezza della giustizia. La verità di questa massima risiede nell’assunzione che tutti gli uomini sono simili tra loro. Se le cose stanno in questi termini, la regola fornisce un criterio sufficiente per non arrecare danno agli altri, ma non è detto che sia sufficiente per venire loro incontro, per promuovere il bene e l’aiuto.

Il Vangelo di Matteo, nell’enunciare la regola aurea, ha un carattere innovativo, poiché ne varia la formulazione. Pone la regola al positivo. Così il testo: „tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro“ (MT. 7,12). La modifica della formula sembra minima ma le conseguenze sono di grande rilievo. È infatti evidente che „non fare agli altri“ (non uccidere, non rubare …) deriva da un criterio di giustizia. Ma d’altro verso cosa accade a chi si rivolge a noi per cercare comprensione, sostegno ed aiuto; a chi ha sbagliato ed ha commesso una colpa e desidera essere perdonato! Ecco quindi che „fare agli altri“ acquista un significato più ampio rispetto al „non fare agli altri“ perchè non è sufficiente essere giusti, bisogna essere buoni, bisogna praticare l‘amore. „Fare agli altri“ significa aiutare il prossimo nel bisogno, nel pericolo e nel dolore, aiutarli a redimersi.

Citazione di Salvatore Natoli:
«Il divieto è necessario, ma la giustizia è avara: tutt’al più limita il male, ma non rende gli uomini migliori. Forse illude alcuni di essere tali. Si dice: „Non ho fatto niente di male“. Ma il Vangelo interroga: „Cosa hai fatto di bene, quale vero bene hai effuso negli altri?“ A tale scopo la giustizia serve a poco. È necessaria una discontinuità, uno scarto, un passaggio ad altro senza protezione. È necessario l’amore».

Riferimento:
Salvatore Natoli „Dizionario dei vizi e delle virtù“
Sintesi a cura di Sandro

Tuesday, April 18, 2017

GNOSTICISMO

Introduzione
Alcuni aspetti dello gnosticismo sono molto interessanti 1) Il mondo con tutte le sue malvagità e sofferenze non è stato creato da un Dio buono 2) Nell’apparenza siamo imprigionati in un corpo, ma in realtà siamo coscienza 3) Ognuno di noi ha in sé una scintilla divina  che con la salvezza si riunisce al mondo della luce 4) Si entra in contatto con il divino cercando dentro noi stessi 5) Gesù è l’illuminato che ci aiuta sulla via della redenzione 6) Per arrivare alla salvezza non si ha bisogno di una chiesa.

«La verità esiste fin dall’inizio ed è seminata ovunque, molti la vedono ma pochi la raccolgono».
«La verità non è venuta nuda in questo mondo, ma in simboli e immagini, non la si può afferrare in altro modo».

Le origini dello gnosticismo
Lo Gnosticismo è un complesso di dottrine e di movimenti spirituali sviluppatosi nei secoli I-IV d.C. sulla base della cultura filosofica e religiosa di quei tempi. In esso confluiscono elementi di diversa provenienza: giudaici, cristiani e platonici.

Ad Alessandria d’Egitto, che nei primi secoli era la seconda città dell’occidente, vivevano molti ebrei della diaspora che avevano trovato un Dio sconosciuto nei loro cuori, ma nello stesso tempo non potevano trovare lo stesso Dio nel mondo, perché questo mondo è pieno di malvagità e sofferenza e quindi conclusero che questo mondo era stato creato da un Dio minore. Questi è equiparato dagli gnostici al Dio dell’Antico Testamento, quello di „occhio per occhio, dente per dente“ un Dio malevolo.

Per gli gnostici questo Dio minore, creatore del mondo fisico, ha imprigionato l’uomo nella materia, ha avvolto la sua anima divina ed eterna in un corpo mortale, ha creato l’uomo a sua immagine schiavo della materia, che cerca ed accumula sempre di più.

I vangeli gnostici
Da molti studiosi si ritiene che esistesse una raccolta originaria delle parole di Gesù, chiamata “Q” dal tedesco “Quelle” fonte di tutti i vangeli successivi, quelli canonici e quelli gnostici.

Gli scritti di Nag Ammadi, ritrovati nel 1945 nell’alto Egitto, sono testi gnostici importanti perché ci parlano di un cristianesimo nascente che è stato poi oscurato. In essi ci sono detti attribuiti a Gesù che illuminano la sua figura di aspetti che non conoscevamo. Il più importante è il Vangelo di Tommaso.

 Elaine Pagels citazione:
«Il mito cristiano come noi lo conosciamo enfatizza una profonda distanza tra l’uomo e Dio. Dio è Dio, noi siamo semplici mortali. Il Vangelo di Tommaso dice che Gesù è figlio di Dio e lo sono anche tutti gli esseri umani. Dalla luce divina è stato creato il mondo, quando Dio disse „che sia luce“. Il genere umano è stato creato ad immagine di quella luce e nel vangelo di Tommaso Gesù parla come la voce che viene dalla luce».

«Io sono la luce che sovrasta tutti loro, io sono il tutto, il tutto promanò da me ed il tutto giunge fino a me, spaccate il legno e io sono lì dentro, solleva la pietra e la mi troverai».

Claudio Bonvecchio commento:
«Questo detto significa che il mondo non è qualcosa di spezzato di frammentario, ma una grande totalità in cui gli uomini ed il cosmo concorrono ad un unico grande obiettivo che è il ritorno all’unità. In questo senso un’immagine di Cristo che si fa terra che si fa pietra che si fa uomo e un’immagine di uomo che per diventare Cristo deve farsi terra deve farsi pietra, ecco io trovo che questa immagine è non solo di una grande e penetrante commozione in un abbraccio unico universale, ma anche un grande insegnamento valido nel passato ed ancora oggi».

Il Vangelo di Maria papiro gnostico greco è dedicato interamente alla Maddalena. Nel mondo che gravita attorno a Gesù questa donna occupa una posizione di primo piano, in diverse circostanze suscita l’invidia degli apostoli perché il Maestro l’ama più di loro.

I Vangeli del nuovo Testamento
I vangeli del Nuovo Testamento non sono stati scritti dagli apostoli, che erano probabilmente analfabeti, e neppure da altri contemporanei di Gesù. I vangeli sono un insieme di racconti e storie che circolarono per decenni nell’impero romano prima che alcuni cristiani eruditi li raccogliessero sotto forma scritta, i nomi degli apostoli furono aggiunti dai cristiani nel II secolo per sostenere l’origine apostolica dei testi. I vangeli della nostra Bibbia furono scritti 2-3 generazioni dopo Cristo in città del Mediterraneo lontane dalla Palestina.

La visione gnostica
Il punto focale dello gnosticismo è che ognuno di noi ha dentro di se una scintilla divina, il dovere del credente è trovarla e farla crescere, entrare in contatto con Dio guardando dentro di noi.

Nella visione gnostica siamo gocce di luce fatte scendere dal mondo della luce al mondo del caos dove le scintille sono avvinte dalle catene dell’oblio.

Gli gnostici conoscevano innumerevoli modi in cui si poteva arrivare alla salvezza, attraverso la contemplazione, facendo crescere la scintilla divina che è sepolta in ognuno di noi. Comunicare con Dio cercando nella nostra anima, una ricerca individuale del divino senza l’aiuto di preti e vescovi.

Cercare la gnosi, l’autoconoscenza, quello che cerchiamo è la parte di noi che non muore mai, è la scoperta che siamo immortali perché la nostra essenza non è il corpo. Nell’apparenza siamo solo un corpo, ma in realtà siamo coscienza.

Dalla conoscenza non razionale ma intuitiva, dipende la salvezza spirituale, conoscenza rivelata dei misteri divini e dell’ineffabile grandezza di Dio.

Il salvatore
La grande persona ispiratrice degli gnostici è Gesù.

Il Dio buono, il vero Dio nella bontà della sua misericordia ha inviato Gesù per redimere l’umanità, per aiutare gli esseri umani a liberarsi dal male intrinseco nella loro corporeità.

Il Salvatore è venuto quaggiù dal Plerum, dalla pienezza della manifestazione divina, per liberare queste scintille, destarle dal sonno, strapparle al mondo materiale.

Nei vangeli gnostici il Salvatore racconta che quando scese in incognito per liberare le gocce di luce attraversò un temibile luogo di mezzo infestato da potenze negative animate da bramosia ira e ignoranza.

Il Salvatore conduce l’anima alla perfezione per opera della Gnosi, della Conoscenza. Ogni gnostico dopo aver preso conoscenza di se stesso ritorna alla sua radice che è divina, la goccia di luce si riunisce alle altre scintille disperse e ricostituisce l’Anima Mundi, il regno della luce.

Tim Freke citazione:
«Gesù letteralmente il figlio di Dio e per di più unigenito, ma per gli gnostici Gesù è una metafora, un simbolo per il divino che si nasconde in ognuno di noi, in questo senso siamo tutti figli di Dio.
Siamo tutti figli di Dio se ci rendiamo conto della nostra vera identità, se non lo facciamo siamo in uno stato di morte apparente. Per gli gnostici ed i mistici questo è l’inferno in cui siamo morti spiritualmente perché crediamo che siamo il nostro corpo e non lo siamo, siamo Dio se vogliamo, siamo parte della Coscienza Unica dell`Universo. Scambiamo erroneamente noi stessi per questi corpi individuali con tutti i problemi che ne conseguono. Ciò di cui abbiamo bisogno è la Risurrezione e il succo della vicenda è questo. Dobbiamo morire per quanto riguarda l’identità corporea che si trova sulla croce della materia, e abbiamo bisogno di risorgere alla nostra vera identità che è il Figlio di Dio, che è il Cristo, la Coscienza del Padre, quindi siamo tutti il Cristo ed abbiamo tutti il bisogno di risorgere».

Giuseppe De Rosa citazione:
«Per giungere alla Salvezza, è necessaria l’opera di un Salvatore con la doppia funzione di Rivelatore, cioè di portatore della gnosi, e di vero e proprio Salvatore, che scende di persona nel mondo inferiore delle tenebre per liberare le anime cadute in esso. Per molte comunità gnostiche il Rivelatore-Salvatore è Cristo, che prende il corpo umano nella persona di Gesù».

Paolo da Tarso
In Paolo ci sono aspetti gnostici, parla del Cristo dentro di noi. Paolo è vissuto prima della redazione dei Vangeli Canonici. Paolo parla di Gesù come un mistero una metafora, una voce dentro di noi.

La fondazione della chiesa
Tre dei quattro vangeli canonici tacciono sulla presunta fondazione della chiesa, solo il vangelo di Matteo attribuisce a Gesù in due occasioni questo termine, ma sembra che Gesù facesse riferimento alla comunità dei credenti non a una istituzione attuale o futura.

Con il trionfa della chiesa è avvenuto che se vuoi arrivare a Dio devi passare per un vescovo, se si vuole costruire una chiesa si deve affermare che la salvezza è possibile solamente con, da e attraverso la chiesa e il rappresentante di Dio in terra che è il Papa, questo è l’unico modo. Mentre per gli gnostici è una cosa che riguarda solo te e puoi farlo da solo.

Gesù qualsiasi cosa fece non ha mai fondato una chiesa, non ha mai lasciato istruzioni per una chiesa. È un’invenzione successiva creata per rafforzare il potere della chiesa cattolica.

Gnosticismo vs. Cristianesimo
Se i cattolici odierni adorano Gesù come il figlio unigenito di Dio che morì per redimerci dai nostri peccati, i primi seguaci di Cristo sembra quasi che aderissero ad un credo differente. I cristiani giudaici dei primi secoli non riconoscevano il valore salvifico del sacrificio di Cristo sulla croce. Per loro Gesù era un Illuminato, non c’era nessuna immacolata concezione, nessuna resurrezione, nessuna croce, ma solamente le parole di Gesù che rappresenta l’incarnazione della saggezza divina.

Giuseppe De Rosa citazione:
«La conoscenza (gnosis) che possiede lo gnostico per sua natura è salvatrice. Per tale motivo lo gnostico si oppone radicalmente a Cristo quale è creduto nella fede cristiana e al cristianesimo, per il quale è la fede in Cristo che salva, non la conoscenza del proprio sé».

Gnosticismo una religione dell’individuo non imposta da una chiesa. Cercare di trovare la divinità per proprio conto. La parola peccatore non apparteneva al dizionario degli gnostici.

La crisi dello gnosticismo
Le difficoltà che gli gnostici si trovarono ad affrontare era che essendo individualmente alla ricerca della salvezza ognuno per se non erano organizzati non erano uniti.

Costantino primo imperatore romano abbracciò la causa cristiana grazie al quale la chiesa raggiunse il potere supremo. Gesù viene dichiarato Figlio di Dio per decreto imperiale, tutte le altre opinioni vennero proibite.

Al Concilio di Nicea nel 324 l’imperatore Costantino appianò tutte le differenze riguardo al credo.

Conclusione
Nei nostri giorni in cui le religioni tradizionali hanno perso credibilità presso tanti uomini che s’interrogano sulla spiritualità, i codici di Nag Ammadi, fondamentali per lo gnosticismo, hanno fatto riscoprire un’antica dottrina che studiata e rielaborata potrebbe rispondere meglio alle esigenze degli uomini di un mondo moderno.

Referenze:
Tim Freke        Filosofo e scrittore di libri su Gesù
Elaine Pagels        Prof.ssa Università di Princeton, studiosa dei vangeli gnostici
Giuseppe De Rosa    religioso, presbitero, teologo e biblista italiano.
Claudio Bonvecchio    Prof. di filosofia e scienze sociali.

Autore: Sandro
Zurigo 16.04.2017