Wednesday, December 29, 2021

PENSIERI DI UNA CANDELA

«Ora mi avete acceso e guardate la mia luce. Vi rallegrate del mio splendore, del calore che dono. Sono felice di poter bruciare per voi. Se non fosse così, sarei forse deposta in una vecchia scatola di cartone, da qualche parte - inutile, inutile. Ho un significato solo dal fatto che brucio.
Ma più a lungo brucio, più mi accorcio. So che ci sono solo due possibilità per me: o rimango nella scatola - intoccata, dimenticata, nel buio - o brucio, divento più corta, do via tutto quello che ho a favore della luce e del calore. Così io vado verso la mia fine.
Eppure, trovo che sia più bello e più significativo poter donare qualcosa piuttosto che rimanere fredda, triste in una scatola …
Rifletti, è lo stesso per voi esseri umani!
O vivete ritirati, state per conto vostro - e rimanete nel freddo e nel vuoto - o vi avvicinate alle persone e date loro il vostro calore ed amore, allora la vostra vita acquista un significato. Ma per questo devi dare via qualcosa di te stesso, qualcosa della tua gioia, del tuo calore, della tua risata, forse anche della tua tristezza.
Insomma, solo chi si dona diventa più ricco. Solo chi rende felici gli altri diventa lui stesso felice. Più bruci per gli altri, più te stesso diventi luminoso. Credo che molte persone siano tristi solo perché hanno paura di essere una luce per gli altri. Una sola luce che brucia vale più di tutta l'oscurità del mondo.
Quindi, lasciate che io, una piccola candela, vi dia un po' di coraggio».
 

Autore: Adalbert Ludwig Balling
Traduzione Tedesco – Italiano: ColosseoNews
Natale 2021

Friday, September 10, 2021

STATO ATTUALE DI SALUTE DELLA CHIESA CATTOLICA

 Lucio Caracciolo, giornalista e politologo direttore della rivista di geopolitica Limes, ha pubblicato recentemente su Azione del Ticino uno studio chiedendosi se la chiesa cattolica non stia andando verso un arcipelago di chiese. Dato l’interesse e la precisione dell’analisi vale la pena riportarla al pubblico. Perché una inversione di tendenza può coinvolgere tutti, necessaria in quanto tralasciata per due mila anni specialmente nell’ultimo secolo.
La chiesa cattolica si definisce universale ma mai come oggi è lecito dubitarne. Sempre più numerose le fratture interne. Come istituzione di potere, distinta dalla comunità di fede intesa da Gesù, essa si struttura in questo modo verso il 313 d.C. con la donazione dell’impero romano da parte di Costantino a papa Silvestro, prendendone abbigliamento, titoli onorifici, mondanità, stile di comando. Come in tutti gli imperi anche in quello assunto dalla chiesa le fratture partono dall’interno. Non interessano qui la consistenza numerica della chiesa attuale con il suo miliardo e trecento milioni di adepti, né le sue diatribe teologiche, tantomeno gli scandali sessuali e finanziari. Interessano piuttosto tre fenomeni paralleli e insieme connessi. Punto primo: l’indebolimento dell’autorità papale, ultimo monarca assoluto della storia occidentale. Bergoglio sta contestando il carattere costantiniano della chiesa. Il nesso fra impero romano e impero papale fu ben colto dal teologo domenicano Congar che l’11 ottobre 1962 giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II annotava sul diario:” avverto tutto il peso, mai denunciato, del tempo in cui la chiesa aveva stretto legami col feudalesimo, papa e vescovi signori di corte che proteggevano artisti, pretendevano uno sfarzo come quello dei Cesari. Tutto questo la chiesa di Roma non l’ha mai ripudiato”. Osservazioni di 60 anni fa rimaste al palo. E oggi Bergoglio ponendosi in questa linea sta indebolendo, secondo buona parte del clero, la sua autorità ed efficacia di governo. Punto due: Bergoglio intende guidare la chiesa universale non all’italiana ma dalla periferia del mondo e la spinge in uscita verso i non credenti, le altre religioni: ciò ha contribuito ad accelerare la tendenza di molti vescovi, ovviamente non residenti in Vaticano, a muoversi per conto proprio e rileggere e applicare localmente il messaggio del vangelo. Chiesa mobile e policentrica. D’altronde che cosa unisce oggi un cattolico polacco ad un cattolico africano, sudamericano, tedesco? Poco. Tanto poco da mettere in questione l’universalità della chiesa e il ruolo di un centro vaticano romano.
Punto tre: i vari cristianesimi dell’emozione. Galassia di confessioni, gruppi, movimenti pentecostali o meno, che anche se di diversa estrazione fioriscono in tutto il mondo. Opportuna la domanda: sopravvivrà la chiesa cattolica romana o si frammenterà in un arcipelago? Che cosa resterà della radice occidentale del cattolicesimo romano? In che misura la tendenza disgregatrice influirà sugli assetti geopolitici mondiali? Fino a qui il Caracciolo.
Una risposta va tentata con i biblisti e i teologi della nuova generazione.
1) Separare totalmente l’attuale istituzione chiesa dalla sua origine imperiale e restituirla al vangelo di Gesù. Slegarla dal diritto romano e dalla filosofia greco romana con cui ha costruito i suoi dogmi, specie dall’inizio con il concilio di Nicea del 325, origine delle sue formule irriformabili, indiscutibili, eterne. Ritornare ai messaggi del capitolo 12 di Paolo (1° Cor.) in cui proclama la diversità dei doni distribuiti ad ogni persona, quindi ad ogni popolo e nazione, nell’unicità dello Spirito del Signore. Diversità nell’unità era il pensiero di Gesù e non uniformità escludente le diversità. La diversità, come i fiori del campo, è arricchimento, non sempre dispersione. Ma l’intento eccessivo della chiesa fu quello di esigere sottomissione, silenzio, omologazione di tutto e di tutti.
2) Molti vescovi in varie nazioni tentano esperienze diverse più vicine al vangelo e non sempre in sintonia con la chiesa attuale. Oggettivamente all’inizio prima dell’era imperiale la chiesa era policentrica, cioè di rito orientale, bizantino, armeno, maronita ed altro nel rispetto delle diversità di culture, riti, tradizioni. D’altronde a che serve tutta questa intransigenza della chiesa centrale sul divieto di preti sposati, donne preti e quant’altro. Tutti precetti sorti dalla chiesa costantiniana e nemmeno esistenti nel vangelo di Gesù. E sulla messa? Gesù si definì “pane di vita” e con il pane celebrò la sua cena o prima messa. Il pane era il cibo base di quel paese e del nostro occidente. Un’osservazione che sembra banale: il cibo base per i tibetani è il riso, per gli africani l’injera. Perché la loro messa non potrebbe essere celebrata con il riso o con l’injera? Quello per loro è il pane di vita. Diversità di riti e di doni nell’unità con lo stesso spirito del Signore. Importante non è il cibo ma il senso della condivisione di vita. E qui le esemplificazioni sarebbero infinite, né vale la pena proseguire.
3) I cristiani dell’emozione, il pullulare dei gruppi. La chiesa non deve portarsi sempre dentro l’antivirus del protestantesimo, e poi correre tardivamente ai ripari. Non tutti i gruppi sono anti o “sette”, importante che non si facciano guerra, ma vivano lo spirito del Signore che li unifica nella diversità. E se l’attuale declino venisse compensato dai ricuperi cattolici dei paesi poveri non va ripetuto l’errore di impacchettarli e omologarli tutti alla stregua del passato. Essa non può coprire le diversificate esperienze dei vari popoli. La chiesa non ha il diritto di proprietà su Gesù, ma l’invito al discepolato e alla testimonianza evangelica nei confronti di tutti sia uguali che diversi.

Autore: Albino Michelin
Adattamento di ColosseoNews
10.09.2021

Wednesday, June 23, 2021

TU CI SEI

Epitaffio in memoria delle vittime dell’epidemia da coronavirus nel cimitero di Bergamo

di Ernesto Olivero

  Tu ci sei.

Sono convinto che Tu ci sei
accanto alle persone che muoiono sole,
sole, con a volte incollato
sul vetro della rianimazione
il disegno di un nipote,
un cuore, un bacetto, un saluto.

Tu ci sei, vicino a ognuno di loro,
Tu ci sei, dalla loro parte mentre lottano,
Tu ci sei e raccogli l’ultimo respiro,
la resa d’amore a te.

 Tu ci sei, muori con loro per portarli lassù
dove con loro sarai
in eterno, per sempre.

Tu ci sei,
amico di ogni amico che muore
a Bergamo, in Lombardia, in ogni parte
del nostro tormentato paese.

Tu ci sei e sei Tu che li consoli,
che li abbracci, che tieni loro la mano,
che trasformi in fiducia serena la loro paura.

Tu ci sei, perché non abbandoni nessuno,
Tu che sei stato abbandonato da tutti.

 Tu ci sei, perché la tua paura,
la tua sofferenza, l’ingiustizia della tua morte,
le hai offerte per ciascuno di noi.

Tu ci sei e sei il respiro
di quanti in questi giorni
non hanno più respiro.

Tu ci sei, sei lì, per farli respirare
per sempre.
Sembra una speranza,
ma è di più di una speranza:
è la certezza del tuo amore
senza limiti.

 Questo epitaffio di Ernesto Olivero esprime in maniera emblematica
„La Cristologia della sofferenza“ propria della fede Cristiana.

 Sandro B.
27.06.2021

 

Thursday, April 8, 2021

HANS KÜNG Fede-Umanità

Il teologo Hans Küng è morto il 6 aprile 2021 all'età di 93 anni nella sua casa di Tubinga, in Germania. Nato a Sursee, in Svizzera, nel 1928, dal `48 al `55 aveva studiato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ordinato sacerdote nel `54. Dopo il dottorato in teologia alla Sorbona di Parigi aveva svolto per alcuni anni l’attività pastorale. All’età di 32 anni era diventato professore ordinario presso la Facoltà di Teologia cattolica dell’università di Tubinga in Germania.

Definito il più importante teologo del dissenso cattolico criticò fortemente il dogma dell'infallibilità papale, su cui nel 1975 venne richiamato dalla Congregazione per la dottrina della fede, che poi, in seguito all'inasprirsi dei toni della contestazione, il 18 dicembre 1979 gli revocò l’autorizzazione all’insegnamento della teologia dogmatica (continuò però a insegnare teologia ecumenica).

Gli anni Sessanta e Settanta hanno visto il teologo svizzero impegnato nel processo di rinnovamento liturgico e di apertura della Chiesa cattolica al mondo moderno. Scrisse opere, divenute best sellers mondiali, ritenute autentiche innovazioni della teologia del XX secolo come Essere cristiani, Dio esiste? Vita eterna? elaborando la sua «teologia per gli uomini» in un confronto con le espressioni più avanzate dell’ateismo, del nichilismo, della laicità e della scienza.

Saggista e teologo, paladino del pensiero progressista e riformista Hans Küng fu molto critico verso il pontificato di Giovanni Paolo II, considerato distante dallo spirito riformistico del Concilio Vaticano II, e nel 2020 chiese a Benedetto XVI un "mea culpa" per il modo in cui la Chiesa aveva gestito la piaga della pedofilia. Si è inoltre battuto per l’abolizione del celibato dei parroci, contro il divieto di ordinare le donne prete e per l’accettazione della pianificazione famigliare. Negli ultimi tempi, Kung aveva fatto parlare di sé per la sua apertura nei confronti del suicidio assistito.

L’opera della vita di Küng è la Fondazione Weltethos (etica planetaria), da lui diretta fino al 2013. La fondazione è impegnata a rafforzare la cooperazione tra le religioni mediante il riconoscimento dei loro valori comuni e a disegnare un codice di regole di comportamento universalmente condivise. Weltethos ha preparato la Dichiarazione per un’etica planetaria: un documento sottoscritto nel 1993 a Chicago dal Consiglio per un parlamento delle religioni del Mondo.

Dopo questa breve presentazione ritengo utile riportare alcune citazioni di Hans Küng.
Dal libro “Essere cristiani”:

«Gesù non ha mai detto che per entrare nel regno di Dio è necessario appartenere ad una chiesa, basta per lui l’obbediente accettazione del suo messaggio e la pronta, radicale sottomissione alla volontà di Dio».

«Ci sono uomini che, disgustati o lasciati del tutto indifferenti dai dogmatismi e dalle „favole “dell’ora di religione nelle scuole, prescindono per anni da quel Gesù inserito in una cornice mitologica, ma che poi giungono, anch‘essi per vie non di rado insolite, alla scoperta che Gesù potrebbe avere un grande, anzi decisivo significato per la loro concezione dell’uomo nel mondo e di Dio, per il loro essere, agire, soffrire».

«La sofferenza, quindi non deve essere necessariamente – tanto meno per il cristiano- una sorte di patire remissivamente, un fato, un destino, cui rassegnarsi „la sofferenza è una specie di trasformazione, sperimentata dall’uomo, un divenire “. Un divenire che è un tendere verso un fine ultimo più grande, più alto, più libero. Non solo combattere la sofferenza, ma elaborarla».

«Imitare la croce non significa imitare la sofferenza di Gesù, non significa riprodurre il supplizio della croce. Questa sarebbe arroganza bella e buona. Imitare la croce significa sopportare la sofferenza toccata proprio a me, nella mia inconfondibile situazione, in correlazione, in corrispondenza con la sofferenza di Cristo. Chi vuole andare con Gesù, rinneghi se stesso e non prenda la croce di Gesù o un’altra croce qualsiasi, ma prenda la sua croce e lo segua. Cercare un’ascesi monastica o nell’eroismo romantico, una sofferenza eccezionale non è da cristiani. Cristiano è il sostenere la sofferenza abituale, normale quotidiana e spesso appunto smisurata: ecco l’eroismo richiesto a chi crede nel Crocifisso. La croce di ogni giorno! Quanto poco edificante e naturale sia questa condizione, lo sa bene chi ha provato a sottrarsi alla sua croce sottraendosi a tutti i suoi impegni quotidiani, agli obblighi, alle responsabilità famigliari e professionali, di trasferire la sua croce sulle spalle altrui e di scuotersela di dosso. In tale prospettiva la croce di Gesù diventa criterio di conoscenza e azione autocritica».

Hans Küng ha sritto i suoi libri per i tanti che con motivazioni diverse si vogliono sinceramente e onestamente informare sui contenuti autentici del cristianesimo, su ciò che propriamente significa essre cristiani.
Sono anche scritti
Per chi non crede e tuttavia ricerca serimente,
per chi ha creduto e oggi, senza fede , è insoddisfatto,
per chi crede, ma si sente incero nella sua fede.
Perchi oscilla tra fede e incredulità, per chi dubita delle sue convinzioni, ma anche dei suoi dubbi.
Sono quindi libri per cristiani e atei, gnostici e agnostici, pietisti e positivisti, cattolici tiepidi e ferventi, protestanti e ortodossi.

Con questo post desidero ringraziare e rendere omaggio ad un mio grande maestro che per tutta la vita ha combattuto il dogmatismo religioso con la più autentica delle fedi: l’umanità.

Sandro B.
Zurigo 08.04.2021

Friday, March 19, 2021

SAN REMO 2021: ME NE FREGO

In cinque serate dal 2 al 6 marzo 2021 ha avuto luogo il Festival di San Remo. Ad altri l’intento di farne un giudizio dal punto di vista artistico, dei contenuti, con analisi sociologiche, auditel e quant’altro.

 In questo articolo si vuole focalizzare l’evento da un angolo circoscritto, ma significativo. Breve inquadratura: due presentatori: Amedeo Sebastiani (Amadeus), e Rosario Fiorello, 26 artisti, alcuni ospiti d’onore, fra cui Lauro De Marinis col nome d’arte Achille Lauro. Contorni, abbigliamenti bizzarri, un insolito femminilismo, confusione di generi, travestimenti eccentrici, maschi vestiti da femmine, baci gay per combattere l’omofobia: forse l’effetto della pandemia, il bisogno di uscire dall’isolamento e dalla depressione. Fino a qui quanto ci ha passato il convento. Un’osservazione però e abbastanza pertinente è sul numero esibito dal duo Lauro-Fiorello. Vestito total black, con la corona di spine cinta attorno al capo, lo showman Achille esegue la sua canzone “Me ne frego”. Già il testo si presta a delle riserve: un messaggio dal significato:” me ne frego, faccio l’amore col mio ego”. Praticamente l’apologia del nulla, del proprio individualismo, della propria istintualità, del vuoto, dell’irrilevanza di ogni regola e dei così detti valori. Ma gira e rigira non è tanto il testo che fa stupore quanto l’abbinamento con la corona di spine, simbolo sacro della passione di Gesù, dell’Ecce Homo di Pilato, quando questi condanna Gesù così conciato e distrutto all’esecuzione capitale.

Ovviamente non potevano mancare le reazioni, in quanto ogni simbolo sacro ha la sua collocazione, diversamente diventa profanazione. Inoltre non si può dare torto a quanti sostengono non potersi definire culturale e men che meno educativo per le nuove generazioni un simile spaccio di cinismo verso i simboli sacri. Il discorso sul simbolismo religioso è più profondo di quello che sembra. Perché non tocca Gesù Cristo, tocca il credente, cioè la persona che viene offesa nella sua identità fondante.

Una forte reazione è arrivata dal Vescovo di San Remo A. Suetta che ha pubblicato sul sito della Diocesi una Lettera in cui attacca il Festival per “la mancanza di rispetto e derisione verso la fede cristiana esibite in forme volgari e offensive” da alcuni protagonisti sul palco. Nel mirino in particolare Achille Lauro, i Maneskin e il premio Città di Sanremo a Rosario Fiorello.

Citazione: “A seguito di tante segnalazioni di giusto sdegno e di proteste – si legge nella nota – riguardo alle ricorrenti occasioni di mancanza di rispetto, di derisione e di manifestazioni blasfeme nei confronti della fede cristiana, della Chiesa cattolica e dei credenti, esibite in forme volgari e offensive nel corso della 71 edizione del Festival della Canzone Italiana a Sanremo, sento il dovere di condividere pubblicamente una parola di riprovazione e di dispiacere per quanto accaduto “.
 

Doveroso è anche dar voce a tutte le persone credenti e non credenti che si sentono offese e costernate dallo spettacolo offerto dal Festival di San Remo 2021 pieno di insulsaggini e volgarità, per sostenere il coraggio di chi con dignità non si accoda alla deriva dilagante di una società, quella italiana, che ha perso i suoi valori portanti e se ne compiace con il motto “me ne frego”.


 Sandro
19.03.2021

Sunday, January 24, 2021

CREDO NELLA CHIESA, MA NON IN DIO

L’espressione è di Vittorio Sgarbi, noto critico d’arte italiano, diversa dalla tradizionale: “credo in Dio, ma non nella chiesa” non è burlona, ma carica di suggestione, si tratta di distinguere. E vale la pena lasciare la parola all’autore. Sgarbi sostiene parafrasando un detto di Benedetto Croce:” perché non possiamo non dirci cristiani” in un’altra:” perché non possiamo non dirci clericali”. Il suo incipit è noto: l’arte sostituisce la fede e la religione.
La religione è un tentativo di speranza nella vita eterna che non ci è affatto garantita, l’arte è una promessa di eternità, una sostituzione della fede. L’arte è la prova dell’esistenza di Dio. Per cui molti hanno la fede attraverso l’arte anziché verso Dio. Conseguenza principale per lui è quella di credere di più alla chiesa perché questa la conosciamo come consistenza storica, fatta di una quantità di pensieri, di meditazioni, di riflessioni, di militanze, di monumenti laici e sacri, arti figurative, scultoree, letteratura, biblioteche, musica. In una parola è la dimostrazione che nessuna religione ha prodotto tante bellezze come quella cristiana. Fino a qui Sgarbi e prendendo le cose alla larga dovremmo giustamente affermare senza traccia di bigottismo che il Cristianesimo è la religione del bello e della bellezza in tutta la sua poliedrica vastità. In effetti anche il suo fondatore Gesù, l’innamorato dei gigli del campo, è venuto a portare il Vangelo che vuol dire il bell’annuncio. E per non dimenticare le radici cristiane anche Bergoglio ha stilato la sua prima enciclica del 2013 col titolo ”Evangelii gaudium”. Per saperne di più leggasi il libro del salesiano M. Fox. “In Principio era la gioia”.
Onde far risaltare questo aspetto è opportuno qui mettere fra parentesi determinati comportamenti della chiesa, l’eccesso dato ad una religione del sacrificio, del peccato originale, del dolorismo, del digiuno, della rinuncia a satana, degli interessi temporali, le sue “esecuzioni” contro i diversamente credenti come i 200 catari bruciati all’arena di Verona nel (1155), i 3.550 valdesi decimati in Calabria nella zona di Guardia dei Piemontesi (1561), i 120 insegnanti ”scomodi” di teologia destituiti dalla cattedra negli ultimi decenni da papa Wojtyla. Per quanto spiacevole questo aspetto qui non interessa. Fuori discussione invece che molte persone sono affascinate dall’arte. Per questo un’educazione al bello della natura come a quello delle opere di artisti andrebbe garantita a tutti. E andrebbero incrementate escursioni, visite ai musei, monumenti, cattedrali, turismo culturale.
Tentiamo qui un viaggio ideale attraverso i secoli limitandoci all’arte delle basiliche. Partiamo dal VI secolo e a Ravenna potremmo ammirare la chiesa di S. Apollinare in Classe stile bizantino con i suoi mosaici policromi. Proseguiamo verso il secolo seguente all’Abbazia di San Colombano in Bobbio (PC), di stile longobardo con le sue strutture originarie ottagonali simbolo del cosmo. Proseguiamo verso il 1000 con le basiliche stile romanico di cui è costellata l’Emilia e poi S. Marco di Venezia, Monreale di Palermo. Equilibrio di stile classico, muri compatti e massicci entro cui lo spirito viene protetto dalla distrazione. Proseguiamo verso Parigi dove un secolo più tardi principiò lo stile gotico con archi rampanti atti a incutere rispetto e facilitare l’elevazione. Proseguiamo verso il Rinascimento con cupole a proteggere le città, vedi duomo di Firenze. E avanti con il barocco del 1600, teatrale, virtuoso, bizzarro, ricchezza di toni e colori, espressione di potenza e di fasto, vedi la cattedrale di Lecce e la nostra Basilica S. Pietro di Roma. Fino all’età contemporanea con lo stile assembleare, e sintonizzato al paesaggio verde della natura, vedi Ronschamp Belfort capolavoro del Corbusier nella Francia sud-orientale.
Se poi consigliamo ai nostri maratoneti di percorrere la Francigena fino a S. Giacomo di Compostella è tutto un tragitto costellato di piccoli santuari dagli stili originali. Ci siamo limitati all’architettura sacra, proprietà della chiesa, salvaguardia della bellezza. Ma la chiesa ha esercitato il suo influsso su tutte le espressioni d’arte: sulla pittura da Giotto a Caravaggio. Sulla letteratura con Dante, sulla musica con il canto gregoriano, da Palestrina a Mozart. Ma l’arte non ha limiti di tempo, di cultura, di religione. Anche l’arte così detta laica ha lo stesso contenuto di quella sacra: dalla letteratura del Petrarca al Pascoli, ai vari romanzieri, dai grafiti preistorici alle opere di Van Gogh, dall’abbigliamento imperiale romano ai nostri stili di moda P.Cardin.
Gli artisti non muoiono mai, sono eterni, vivono dentro di noi e ci fanno rivivere. Se Dio crea, l’artista pure continua a creare. Ogni tipo di bellezza è salvifica, dà motivazioni, guarisce, unisce, ci fa tornare alle origini, nostalgia del passato verso un futuro ultramondano. Per cui i binomi dell’inizio, fede-arte, e chiesa-Dio anziché concorrenziali potrebbero anche richiamarsi a vicenda. E l’arte, sia essa di chiesa come degli infiniti geni autonomi, potrebbe essere un veicolo verso la fede in Dio e postularne l’esistenza.

Autore: Albino Michelin
Adattamento di ColosseoNews
23.01.2021