Wednesday, April 8, 2020

IL CORONAVIRUS SALVA LA NOSTRA VERA UMANITÀ

La pandemia di coronavirus ci costringe tutti a pensare: cosa conta davvero la vita o i beni materiali? L'individualismo di ciascuno per se o la solidarietà dell'uno con l'altro?
Possiamo continuare ad appropriarci, senza limiti, dei beni e dei servizi della natura per vivere sempre più sconsideratamente o dobbiamo invece prenderci cura della natura, della nostra Madre Terra e vivere cercando l'armonia del tutto?
Cosa hanno raggiunto quei paesi guerrafondai accumulando sempre più armi di distruzione di massa, al punto da poter distruggere l'intera biosfera e distruggere la Terra, se ora devono cedere a un virus invisibile che può rendere ridicolo tutto questo apparato di morte?
Possiamo continuare con il nostro stile di vita consumistico, distruttivo della natura, che minaccia l'equilibrio della Terra, che produce ricchezza illimitata per pochi privilegiati in un oceano di poveri e miserabili? Ha ancora senso che ogni paese affermi la propria sovranità, non rispettando quella degli altri, quando siamo tutti all'interno dello stesso Titanic che può affondare? Perché non abbiamo scoperto e valorizzato l'unica Casa comune, la Madre Terra e il nostro dovere di prenderci cura di lei in modo che tutti possano coesistere, natura compresa?
Sono domande che non possono essere evitate. Nessuno ha la risposta. Una cosa però è certa: "la visione del mondo che ha creato la crisi non può essere la stessa che ci porterà fuori dalla crisi". Dobbiamo necessariamente cambiare. La cosa peggiore sarebbe se tutto tornasse come prima, con la stessa logica consumistica e speculativa, e forse con ancora più vemenza. Poi, non avendo imparato nulla, arriverebbe un altro virus, forse quello che potrebbe porre fine al progetto umano, fallito.
Ma possiamo guardare alla pandemia del coronavirus che si sta propagando in tutto il pianeta, da un'altra angolazione, quella positiva. Il virus ci fa scoprire la nostra più profonda e autentica natura umana.
Prima di tutto, siamo esseri relazionali. Siamo, come ho ripetuto innumerevoli volte, un nodo di rapporti totali, rivolti in tutte le direzioni. Quindi nessuno è un'isola. Ovunque gettiamo ponti.
In secondo luogo, di conseguenza, dipendiamo tutti l'uno dall'altro. L'etica africana "Ubuntu" esprime bene questo concetto: "Io sono solo io attraverso te". Pertanto, ogni individualismo, l'anima della cultura capitalista, è falso e antiumano. Il coronavirus lo dimostra. La salute di uno dipende dalla salute dell'altro. Questa dipendenza reciproca, consapevolmente assunta, si chiama solidarietà. È stata la solidarietà che ci ha fatto uscire dal mondo degli antropoidi e ci ha permesso di essere umani, di vivere insieme e di aiutarci. In queste settimane abbiamo visto commoventi gesti i di vera solidarietà, molti che aiutano gli altri, da deboli a deboli.
In terzo luogo, abbiamo bisogno di “aver cura”. Senza cura, dalla nascita e per tutta la vita, nessuno sopravvivrebbe. Dobbiamo prenderci cura di tutto: di noi stessi, altrimenti potremmo ammalarci e morire, degli altri che possono salvare me o io posso salvare loro, dalla natura che può rivoltarsi contro di noi con virus deleteri, siccità disastrose, inondazioni devastanti, eventi climatici estremi. Prendersi cura di Madre Terra perché continui a darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere e che ancora ci ospita, malgrado che per secoli l'abbiamo aggredita spietatamente. Soprattutto ora, sotto l'attacco del coronavirus, dobbiamo tutti prenderci cura di noi stessi, prenderci cura degli altri più vulnerabili, raccoglierci a casa, mantenere la nostra distanza sociale e occuparci delle infrastrutture sanitarie senza le quali assisteremo a una catastrofe umanitaria di proporzioni bibliche.
In quarto luogo, abbiamo scoperto che dobbiamo essere tutti corresponsabili, cioè essere consapevoli delle conseguenze benefiche o dannose delle nostre azioni. La vita e la morte sono nelle nostre mani, la vita umana, la vita sociale, economica e culturale. La responsabilità non può essere solo dello Stato o di pochi soggetti, ma deve essere di tutti, perché tutti ne sono coinvolti e tutti possono influire. Tutti devono accettare l’isolamento imposto per contrastare la pandemia.
Infine, scopriamo la forza del mondo spirituale che costituisce la nostra anima profonda, là dove si elaborano i grandi sogni, dove vengono poste le domande ultime sul senso della nostra vita e dove sentiamo che deve esserci un'Energia amorevole e potente che pervade tutto, che sostiene il cielo stellato e la nostra stessa vita sulla quale non abbiamo tutto il controllo. Possiamo aprirci ad essa, questa Energia, accoglierla e, come in una scommessa, confidare che sia essa a sostenerci e che, nonostante tutte le contraddizioni, garantisca una buona fine per l'intero universo, per la nostra storia saggia e stolta e per ognuno di noi. Se coltiviamo questo mondo spirituale ci sentiamo più forti, più premurosi, più amorevoli, alla fine, più umani.
Su questi valori ci è concesso di sognare e di costruire un altro tipo di mondo, biocentrico, in cui l'economia, con altre razionalità, sostiene una società globalmente integrata, rafforzata più da alleanze affettive che da patti legali. Sarà la società della cura, della gentilezza e della gioia di vivere.

Autore: Leonardo Boff
Traduzione dal Portoghese in Italiano a cura di ColosseoNews del Post
“O coronavírus resgata a nossa verdadeira humanidade”
31/03/2020

Monday, April 6, 2020

PICCOLO MANIFESTO IN TEMPI DI PANDEMIA (SINTESI)

Il Collettivo Malgré Tout (“Malgrado tutto”), ha proposto un breve Manifesto composto da quattro punti, quattro spunti di riflessione e ipotesi pratiche da condividere con chi fosse interessata/o.
Il testo che segue è una sintesi elaborata da ColosseoNews.

 
1. Negli ultimi quarant'anni almeno, abbiamo assistito al trionfo e al dominio incontrastato del sistema neo-liberista in ogni angolo del pianeta, salvo rarissime eccezioni che sono state però spesso inglobate all’interno del sistema dominante. Tra le diverse tendenze che attraversano questo tipo di sistema, una in particolare sembra costituire la forma mentis dell’epoca. Si tratta, senza dubbio, della tendenza a considerare gli individui come il rumore di fondo del sistema, come ciò che disturba in quanto troppo pensante, desiderante, vivente e quindi sfuggente alle logiche lineari di previsione. L’obiettivo perseguito dalle pratiche e dalle politiche proprie al neo-liberismo consiste nel rendere gli individui indeterminati, manipolabili, materia prima o “capitale umano” utilizzabile a proprio piacimento. Gli individui possono essere spostati senza criterio, devono essere pronti e educati alla flessibilità per potersi adattare alle necessità determinate dalla struttura macro-economica. Nella loro astrazione estrema gli individui diventano, nel caso delle tragedie come quelle che avvengono quotidianamente nel Mediterraneo o nei centri di detenzione libici ed europei, semplici numeri, dal valore indifferente, senza nessuna corporeità e quindi, in fondo, umanità.
Gli effetti catastrofici delle politiche a cui abbiamo assistito è resa manifesta dall’accelerazione estrema, negli ultimi decenni, dell’impatto dell’Antropocene. Abbiamo assistito a una de-regolazione senza precedenti dell’ecosistema, alla manipolazione artificiale di piante, animali e della natura (di cui siamo parte) nel suo insieme. Anche in questo caso, l’idea che ha guidato le pratiche neo-liberali consiste nel pensare che tutto sia possibile, in nome di un maggior profitto o di un più grande benessere per una piccola parte della popolazione. Ecco allora che la pandemia che stiamo vivendo sembra scombussolare lo scenario che si era delineato fin qui. D’un tratto il baricentro si è spostato, ci rendiamo conto che gli individui, finora ridotti a massa manipolabile, sono di ritorno anche se in maniera catastrofica e sotto minaccia. Gli individui fanno parte della realtà e sono diventati addirittura i soggetti principali della situazione e delle politiche attuate: sono essi a essere controllati, regolati ma anche protetti.

2. Dalla gestione della pandemia attuale e dalle reazioni che ha scatenato traiamo una lezione fondamentale. Se, ben prima di questa crisi sanitaria, la percezione di un futuro minaccioso era comune alla maggior parte delle persone, non si trattava mai di una minaccia identificata, quindi reale e immediata. Si trattava di una percezione diffusa e precosciente di una “minaccia” generale, che avrebbe potuto declinarsi in diverse maniere, minaccia nella quale eravamo immersi senza però che tutti riuscissero ad agire collettivamente. L’angoscia che questa percezione diffusa scatenava non esisteva in rapporto a un elemento chiaro e identificato. Se una minaccia risultava invece chiara, cristallizzata e sentita come immediata, lo era soltanto per le persone toccate in prima persona. Si pensi ad esempio alla minaccia per chi vive nei siti contaminati dall’amianto. Si tratta di una minaccia ben reale: a Taranto, in Italia, tra i lavoratori dell’ex Ilva si sono registrati un +500% di tumori rispetto al resto di cittadini della città e almeno 5000 morti causati dall’esposizione all’amianto nel periodo che va dal 1993 al 2015. In casi come questo, è sempre esistita una certa impossibilità, per le persone che vivevano la minaccia immediata e la appercepivano (vedi glossario), di trasmettere quest’esperienza agli altri. Se, infatti, anche chi non vive nelle zone colpite può interessarsi, informarsi ed essere solidale con le persone toccate dalla situazione, è difficile che ci si possa sentire realmente coinvolti, appercepire e vivere la minaccia come immediata. Vi è una grande differenza, infatti, tra essere informati di una situazione e appercepirla realmente. Altri ancora, invece, a queste minacce rispondevano con un menefreghismo celato dietro alla convinzione del “tanto succede solo agli altri”. Non è mai esistita quindi un’appercezione comune della minaccia come invece sembra esistere attualmente.
Oggi stiamo assistendo a un evento epocale e inedito. Per la prima volta, infatti, l’umanità intera produce un’immagine della minaccia (la appercepisce). L’emergenza di questa dimensione di appercezione comune non è dovuta solamente a un carattere intrinseco alla minaccia che stiamo vivendo (ad esempio alla mortalità del virus) ma anche al dispositivo disciplinare messo in atto dai governi di quasi tutto il mondo. Non è quindi la minaccia in sé che produce una dimensione di appercezione comune: tante altre minacce o disastri, come abbiamo spiegato parlando di Taranto, non sono state oggetto di questa dimensione comune. Ciò non significa che quelle altre minacce fossero meno immediate o pericolose, né che non tangessero gran parte del pianeta. Il massacro dell’ecosistema, infatti, nelle sue varie forme, sta distruggendo il vivente (tutto) qui e ora, non domani o dopodomani. La minaccia ecologica, corrispondeva però fino ad oggi a un pericolo non immediatamente appercettibile per la maggior parte delle persone, a qualcosa di cui la nostra coscienza poteva per lo più informarci. È esistita, ovviamente, una minoranza di persone che già appercepivano la minaccia (le vittime di questi disastri, parte della comunità scientifica, una parte importante delle giovani generazioni, figure-simbolo come Greta Thunberg e movimenti della società civile etc.) ma non erano presenti gli altri elementi necessari per far si che la percezione diffusa diventasse appercezione di massa. Come abbiamo anticipato, tra i vari elementi che hanno permesso l’emergenza della dimensione di appercezione comune di una minaccia immediata vi è il dispositivo disciplinare messo in atto dai governi. Se prima la minaccia veniva appercepita soltanto nel momento in cui il proprio corpo ne era affetto (nel caso dell’amianto, dell’inquinamento in alcune zone, delle diossine ecc.) e non esisteva alcuna dimensione appercettiva comune, ora la situazione è completamente diversa: anche se il mio organismo singolo non ne è direttamente affetto, l’esistenza di quella dimensione comune fa sì che ognuno appercepisca la minaccia. E’ quindi la prima volta che tutti quanti, in ogni parte del mondo, sperimentano corporalmente (e non solo coscientemente, basandosi su informazioni) la presenza di una minaccia immediata. La differenza, come abbiamo spiegato, risiede nel fatto che abbiamo a che fare con un disastro visibile per tutti quanti e appercepito da tutti quanti. Si tratta di un evento storico irreversibile che consiste nell’acquisizione per il senso comune della dimensione visibile della minaccia ecologica.

3. Nell’orrore che stiamo vivendo e nella situazione complicata in cui siamo immersi, se facciamo lo sforzo di non rinunciare al pensiero, ci accorgeremo di come esista una sola cosa che possiamo sperimentare positivamente all’interno di questa crisi: la realtà dei legami che ci costituiscono. In maniera paradossale e quasi tragicomica, l’isolamento è stato necessario per spingere le persone a cercare e creare legami.
La nostra vita individuale e singolare è solo un lato della medaglia; l’altro lato è il nostro essere tessuti nella e dalla fragilità dei legami e del comune di cui facciamo parte. Obbligati all’isolamento, ci accorgiamo quindi di appartenere al comune, di essere attraversati da molteplici legami e di non corrispondere in alcun modo al disegno thatcheriano secondo cui “La società non esiste. Tutto ciò che esiste sono degli individui uomini e donne e le loro famiglie”.

4. La finestra che si è aperta, però, non s’affaccia solo su nuove possibilità di agire in maniera positiva. L’esperienza che stiamo vivendo offre al biopotere (vedi glossario) in atto un esempio senza precedenti: assistiamo alla possibilità di disciplinare interi paesi, interi continenti, testimoniando tra l’altro, molto spesso, del desiderio stesso delle persone di farsi disciplinare per sopravvivere alla minaccia immediata. L’esperimento di nuove forme di controllo darà margine al biopotere per ampliare e rafforzare il suo raggio d’azione, anche perché non sarà difficile trovare nuove minacce o nuove emergenze per giustificare le pratiche di controllo sperimentate attualmente. Per la prima volta dopo tantissimo tempo, ci siamo trovati ad affrontare una minaccia chiara, cristallizzata, immediata. Così immediata da permettere al potere di parlare, in maniera furba e villana, di guerra. A ciò vogliamo rispondere che non abbiamo nessun bisogno di guerra, né della mentalità virile e conquistatrice che la dichiara con convinzione, ben espressa dal discorso del Presidente Macron alla nazione (e quel “nous sommes en guerre” ripetuto allo sfinimento). Questa mentalità è parte del problema: il nostro obiettivo non è vincere una guerra ma dirigerci verso un’armonia che comporti un cambiamento nella maniera di abitare il nostro mondo e relazionarsi con le altre specie. Terminata la pandemia, il potere potrà dichiarare di aver vinto la guerra che aveva iniziato. Come dopo ogni guerra, facendo appello alla situazione di emergenza e di crisi che vivremo, esso potrà chiedere un sacrificio in più alle popolazioni. Non è il tempo di pensare, né di protestare e chiedere dei cambiamenti della struttura sociale (dei miglioramenti, ad esempio, dei sistemi di sanità): è il tempo di mettersi al lavoro per rimediare ai danni della crisi e farlo senza aprire bocca. La narrativa che sarà proposta è quella di un semplice intoppo a cui bisognerà rispondere con ancora più veemenza implementando le pratiche neo-liberiste che hanno contribuito, in realtà, a creare la pandemia (e a indebolire le strutture sociali, di cui i sistemi sanitari fanno parte, che in primis devono combatterla). Bisogna infatti ricordarlo: non si tratta di un incidente. La distruzione dei nostri ecosistemi, la promiscuità inedita tra specie animali sia nelle città che negli ambienti naturali (nessuno dubita del fatto che il virus sia stato trasmesso, in ambiente urbano, dagli animali agli umani), la deforestazione, ossia la distruzione di una barriera possibile di contenimento del virus, sono tutti elementi che hanno contribuito in maniera drammatica all’origine e alla propagazione di questa pandemia, e continueranno a farlo in futuro con altre pandemie. Soprattutto se gli (ir)responsabili al governo del pianeta, per lo meno quelli tra loro che sono adepti del neoliberismo, continueranno a pensare in termini di guerra da vincere implementando le pratiche assassine che hanno portato avanti negli ultimi decenni, e rinunciando a trovare un’altra armonia possibile.
Qualunque sarà la reazione dei governi, una cosa è certa: una nuova dimensione è emersa e si è aggiunta al senso comune. Le realtà di cui abbiamo parlato (legate alla distruzione dei nostri ecosistemi o in ogni caso all’interferenza dannosa delle attività umane), il fatto di aver considerato per troppo tempo l’essere umano come il solo soggetto della storia e la natura come suo oggetto separato, da dominare e padroneggiare (secondo la formula cartesiana) sono emerse finalmente come appercepite nella loro pericolosità. La nuova situazione cui partecipiamo ci convoca quindi per renderla irreversibile, per far sì che la crisi non si concluda tra gli applausi di sollievo per aver vinto una “guerra”. Quest’evento storico ci apre la porta per produrre immagini appercettive dei diversi disastri ecologici: sta a noi pensare e agire affinché essa venga imboccata in maniera irreversibile.
Non sappiamo cosa ci riservi il domani e non abbiamo alcuna pretesa di prevederlo. Sappiamo però che le forze reazionarie di tutto il mondo saranno pronte ad approfittarne, come abbiamo pocanzi scritto. Da una parte, alimentando i dispositivi di controllo e di esercizio del biopotere e implementando le politiche neoliberiste; dall’altra, spingendo per un ritorno alla normalità, facendo leva sul desiderio di dimenticare più che su quello di cambiamento. Sta a noi quindi, fin da subito, continuare a pensare a nuovi modi di agire e di vivere nel nostro pianeta, ad altre modalità di sviluppo e crescita possibili e ragionevoli. Lo ripetiamo: non si tratta in alcun modo di aspettare la fine della minaccia per iniziare ad agire né pensare adesso a cosa potremmo fare “dopo la crisi”. Pertanto, nel cuore di una situazione oscura e minacciosa, abbiamo il dovere di assumere la realtà che ci si presenta dinanzi, senza aspettare saggiamente che “prima o poi passi” ma preparando già da ora le condizioni e i legami che ci permettano di resistere all’avanzata del biopotere e del controllo. Questa situazione di crisi non deve condurci a un’ancora maggior delega della nostra responsabilità. Avremo infatti visto come i “grandi di questo mondo” (questi nani morali), parlandoci di guerra, vogliono ancora una volta ridurci a soldati carne da macello. Solo una chiara opposizione al mondo neoliberale della finanza e del puro profitto, solo una rivendicazione degli individui non sottomessi al puro virtuale del mondo algoritmico può essere oggi il nostro obiettivo.

Riferimento: Articolo riportato su Micromega online (1 aprile 2020)
Pour le “Collectif Malgré Tout” France: Miguel Benasayag, Bastien Cany, Angélique Del Rey, Teodoro Cohen. Per il “Collettivo Malgrado Tutto” Italia: Roberta Padovano, Mary Nicotra.

Glossario
Percezione
Atto di prendere coscienza di una realtà che si considera esterna anoi. Processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato.

Appercezione
Il termine appercezione sta a indicare una forma particolare di percezione mentale, che si distingue per chiarezza e consapevolezza di sé. Fu introdotto dal filosofo Leibniz per definire la "percezione della percezione", ossia la percezione massima perché situata al più alto livello di autocoscienza. In Kant è nota altrimenti come "Io penso".

Antropocene
L'epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all'aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell'atmosfera.

Biopotere
Il biopotere, potere sulla vita, si è sviluppato nei secoli XVII e XVIII in due direzioni principali e complementari: la gestione del corpo umano nella società dell'economia e finanza capitalista, la sua utilitizzazione e il suo controllo.