Tuesday, December 26, 2017

IL TRAMONTO DI UN MITO

Un uomo nasce in una parte della superficie della terra. La sua vita corporale si chiude bruscamente con la condanna capitale. Ma la vita delle sue opere, delle sue parole, continua, si amplia, diventa milioni e milioni di vite, imprime del suo sugello secoli di storia. L’uomo è diventato un mito, è diventato una parte della coscienza universale: ha conquistato l’immortalità, quella immortalità che solo i laici ammettono, ed è il perpetuarsi di una alta parola, di un esempio sublime di vita morale nel mondo, nelle coscienze degli uomini che sono nati dopo e ancora nasceranno nel mondo.

Una civiltà nuova si chiama dal nome di quell’uomo. La civiltà nuova era una necessità storica, era contenuta potenzialmente nella precedente civiltà, ma quell’uomo ha trovato, ha saputo esprimere con parole immortali quella necessità e pertanto ne ha aiutato la nascita e la diffusione. Ha lanciato nel mondo greco-romano una idea-forza: la differenza di sangue, di razza non è causa di disuguaglianza tra gli uomini: gli uomini sono eguali. Perché figli di uno stesso padre, perché macchiati di una stessa colpa, perché costretti ad un’eguale necessità di purificazione per il raggiungimento di una vita che è la vera vita, e non è di questo mondo.

Milioni di uomini, che prima si credevano essi stessi inferiori, hanno sentito l’uguaglianza. Questi milioni di uomini hanno incominciato a riflettere sulla propria natura, sulla propria coscienza. La formula della loro redenzione era venuta da un uomo, morto in un certo luogo per aver affermato quel principio. Gli uomini hanno semplicemente, ingenuamente identificato la loro coscienza con quell’uomo, con quel luogo. Hanno materializzato un fenomeno che era solamente ideale.

Per quell’uomo, per quel luogo, si sono ammazzati a vicenda, hanno sopportato sacrifici, hanno acceso roghi, hanno inventato torture. Ma il mito, la materializzazione dell’idea, andò sempre più purificandosi delle scorie mortali e contingenti. Altri uomini si sacrificarono. Essi affermavano che era la coscienza umana stessa che si era liberata, che, avendo riconosciuto se stessa e l’energia propria, aveva rotto i ceppi e le catene.

L’uomo che era stato deificato, che aveva assunto una grandezza fittizia e artificiosa, ritornò semplicemente uomo, assertore di verità, propagatore di verità, martire della verità. Il testimonio della divinità diventò testimonio di umanità, di migliore, più perfetta umanità. E il fine che gli uomini propongono alla loro attività andò sempre meglio fissandosi e non fu più un fine ultraterreno, un’altra vita, ma fu anch’esso umanizzato, modernizzato. E l’immortalità da raggiungere fu l’immortalità terrena anch’essa, in quanto gli uomini si accorsero che essi continuerebbero a vivere nelle coscienze, nel ricordo dei loro successori in quanto per questi successori avessero lavorato, migliorando il presente perché ancor migliore fosse l’avvenire.

Così il mito andò dissolvendosi. La luce che un tempo sembrò agli uomini che irradiasse da un sepolcro da Gerusalemme, gli uomini s’accorsero che invece irradiava dalle loro coscienze, dalla loro volontà, dalle loro stesse opere.

 Antonio Gramsci
22 dicembre 1917

Cento anni dopo
Sintesi di Sandro
22 dicembre 2017

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